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Il gruppo multifamiliare : l’esperienza comunitaria

Creato il 14 aprile 2012 da Raffaelebarone

di Mariagiovanna Milano

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ComunitàTerapeutica Sant’Antonio Piazza Armerina

  • Il contesto:
  • la Domanda:
  • Basi teoriche del setting multifamiliare
  • L’avvio dell’esperienza
  • Conduzione
  • Il Dispositivo

IL CONTESTO

La Comunità Terapeutica Assistita “ Sant’Antonio s.r.l.” è una struttura residenziale sita nel cuore della provincia ennese, al centro della Sicilia, destinata ad ospitare 20 soggetti,  affetti da grave patologia psichiatrica, per la quale si richiedono complessi interventi terapeutici/riabilitativi. La Comunità opera nel territorio Ennese dal Dicembre 1999 in convenzione con l’ASP di Enna. Il personale che lavora presso la CTA  è costituito da due amministratori; dall’equipe formata da un medico coordinatore psichiatra più un altro psichiatra, una psicologa psicoterapeuta gruppoanalista, una pedagogista artcounselor, un’assistente sociale;  dallo staff  composto da sei infermieri, cinque animatori, sei ausiliari, due cuochi.

LA DOMANDA

Sin dal suo avvio la comunità si è avvalsa di una supervisione gruppoanalitica settimanale, nello specifico il supervisore propone alla comunità di lavorare attraverso gruppi analitici di supervisione comunitaria e formazione continua. Tali gruppi rappresentano uno specifico modello gruppoanalitico-soggettuale dei gruppi analitici di psicoterapia comunitaria. Essi organizzano un altrettanto specifico assetto di lavoro che prevede il loro svolgimento attraverso sedute di una intera mezza giornata di lavoro, a cadenza settimanale e con il radicale coinvolgimento di tutta la comunità terapeutica residenziale nel suo complesso. Sono gruppi concepiti come luoghi mentali, dispositivi in cui rendere pensabile per tutti i partecipanti innanzitutto l’esperienza della comunità residenziale nei suoi molteplici livelli, incluso quindi quello istituzionale e politico, consentendo però, allo stesso tempo, un costante monitoraggio delle coordinate organizzative e della progettualità terapeutica. In tal senso il contenitore gruppo si configura contemporaneamente come oggetto, metodo e strumento di lavoro, luogo di incontro per mettersi a ri-pensare insieme, incontrare l’altro e se stessi con il principale obiettivo di “esser-ci”. Ciascuna seduta di gruppo si articola in tre diversi assetti (set), grande gruppo a cui partecipa l’intera comunità: pazienti, operatori, equipe, amministratori, tirocinanti; segue il gruppo staff cui partecipano operatori, equipe, amministratori, tirocinanti; ed infine il gruppo equipe per i soli membri dell’equipe.

Nonostante tale modalità di lavoro improntata al dialogo e alla partecipazione diretta consolidata negli anni, si sia sempre dimostrata efficace, negli ultimi periodi la comunità tutta, si è molto interrogata rispetto ad un vissuto comune di mancanza e di insoddisfazione riferibile alla difficoltà di coinvolgere e rendere partecipi al processo terapeutico i familiari degli utenti in cura in comunità. Tale mancato coinvolgimento spesso ha generato veri e propri fallimenti terapeutici manifestatisi in repentine regressioni dei pazienti al loro rientro in famiglia, associati a vissuti di onnipotenza/impotenza dei curanti incastrati nella falsa illusione di poter fare “da soli tutto” o non poter fare “niente da soli”.

A partire da queste riflessioni è maturata l’idea di coinvolgere i familiari degli utenti utilizzando l’intervento multifamiliare di gruppo, attualmente considerato uno degli strumenti più validi nell’ambito delle patologie psichiatriche. L’origine del gruppo multifamiliare risale al 1958, quando il Dottor Badaracco invitò alcuni pazienti psicotici dell’ospedale psichiatrico di Buenos Aires ad incontrarsi regolarmente in assetto di gruppo. Successivamente furono invitati anche i loro familiari, tutti gli infermieri e operatori presenti nel padiglione, per discutere dei miglioramenti riscontrati e delle possibili dimissioni. La tecnica utilizzata si allontanava da qualsiasi intervento effettuato fino a quel momento, creando uno spazio nuovo con molteplici sfumature. Col tempo tale tecnica si è dimostrata efficace non solo nel curare i pazienti con le loro famiglie, ma ha consentito anche agli operatori di ripensare il loro ruolo di curanti. Badaracco evidenzia come i gruppi multifamilairi siano un contesto all’interno del quale molte persone si integrano tra loro in un dialogo, in una conversazione reciproca. Oggi definiamo il gruppo multifamiliare come un intervento di matrice comunitaria che prende spunto sia dai gruppi psicodinamicamente orientati, sia dalla terapia sistemica.

BASI TEORICHE DEL SETTING MULTIFAMILIARE

-   Il paziente psicotico fatica a creare una propria identità poiché “bloccato” in una situazione simbiotica con uno dei genitori o con entrambi, tale situazione genera nel soggetto isolamento relazionale e comunicativo spiegato proprio dalle “identificazioni patogene” con il genitore, vere e proprie prigioni in cui il paziente viene intrappolato sentendosi sempre l’altro e non potendo costruire un proprio sé vero.

-   Il gruppo multifamiliare lascia emergere nella scena del setting tali identificazioni patogene, l’intero gruppo le può osservare e raccontare, in questo modo è possibile interromperle. Il gruppo permette al paziente di sviluppare risorse alternative che prima non possedeva per combattere il potere delle esperienze dolorose vissute, si passa così dall’identificazione patogena alla creazione di una propria identità per differenziazione.

Tale cambiamento interiore avviene secondo Badaracco grazie a due fenomeni che caratterizzano il gruppo multifamiliare:

-   Il “rispecchiamento metaforico”: la presenza di più nuclei familiari disponibili a narrarsi facilita la scoperta di non essere gli unici a soffrire, la condivisione di difficoltà simili favorisce lo strutturarsi di fattori terapeutici specifici del gruppo mulitifamiliare come la creazione di solidarietà, il superamento dello stigma e dell’isolamento sociale, la stimolazione di nuove prospettive, il mutuo apprendimento, aumento della speranza, il rafforzamento della funzione riflessiva.

-   I “transfert multipli”: il contenitore gruppale consente di “disciogliere e ridistribuire” tra i vari membri del gruppo la potenza del transfert psicotico che in seguito a tale frammentazione può essere reintegrato e  restituito con una minore carica emotiva.

-   Il setting multifamiliare in quanto gruppo allargato in cui sono presenti diverse famiglie è un luogo sociale per eccellenza, “multietnico” poiché ogni famiglia è portatrice della propria etnia, il confronto rappresenta una risorsa per lo sviluppo della socialità nei pazienti.

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