Il Guarattellaro di Napoli

Da Antonio

Il “guarattellaro”, anzi ‘o guarattellaro, era il termine usato per indicare non solo l’artigiano che fabbricava e vendeva i burattini, ma anche il burattinaio stesso, colui che dava “animava” i pupazzi. Questi era un vero e proprio artista che ideava e realizzava spettacoli itineranti con le marionette da lui stesso costruite. Sovente lo si poteva vedere girare per le strade della città con le “guarattelle”, anticamente “bavattelle”, termine che stava ad indicare sia il burattino di stoffa sia la scatola di legno – il castelletto –, con le quali si fermava agli angoli delle strade ad inscenava il teatrino. Il contenitore, ovviamente aperto nella parte alta della faccia, doveva essere su comoda misura dell’operatore che si accovaccia al suo interno e muove i burattini infilando il medio e il pollice nella braccia e l’indice nella testa.

Nicola Connò segnalò i successi, nel 1837, del “guarattellaro” del Molo, specializzato nelle brevi farse di Pulcinella e di Colombina. Connò vide anche, in quell’ampio spazio affollato dai girovaghi, una Ruota della Fortuna vaga antenata del gioco di Mike Bongiorno: l’ago si fermava su nastri colorati, ciascuno dei quali suggeriva tre diversi numeri su cui puntare al lotto.

Scomparse le dinastie teatrali degli Altavilla e dei Petito, Pulcinella è rimasto confinato in quei pochi centimetri di tessuto raramente rianimati nelle sagre di paese o nelle malinconiche feste della nostalgia cittadina. Pulcinella, come il suo popolo, continua a burlare se stesso piuttosto che irridere ai dominatori. Per sfogarsi dall’oppressione di 99 disgrazie, Pulcinella di stoffa vibra ancora mazzate alla moglie, agli sbirri, alla capa ‘e morte: ma con il tremolio della paura. E il classico movimento della “guarattella”, quel fare sì con la testa, ha il senso amaro di una resa.

Evidente francesismo, “guarattella” significa anche cosa da nulla. “Faje guarattelle”, cioè non ti comporti seriamente.



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