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Il guardone

Da Nubifragi82 @nubifragi

Mi chiamo Simone, ho 38 anni e, come dice mia madre, non li porto nemmeno male, ma tutto ciò ha poca rilevanza. Interessante è invece quello che sto per dirvi: sono un guardone, uno di quei personaggi che pigliate per il culo fin dai banchi di scuola, uno di quelli che trae godimento dalla visione di atteggiamenti di intimità altrui, che si appaga di uno sguardo furtivo dove non si dovrebbe, quando non si dovrebbe e a chi non si dovrebbe. Mi starete immaginando nel bosco in cerca di auto appannate, tra le siepi trasformate in urinali nelle sagre estive o magari in spiaggia, finto dormiente tra giovani ardimentosi. Non è così, il mondo cambia, il modo di guardare pure.

Ho avuto tre relazioni di una certa importanza, ma niente che superasse i due anni e mezzo. Vi parerà strano e magari i più diffidenti mi accuseranno di negare perfino a me stesso la tragica realtà dell’amore consumato, il dolore dell’abbandono, ma la verità è che sono sempre stato io a porre termine alle mie storie. Certo, potrebbe essere che non abbia mai conosciuto il vero amore, ma sono tipo pratico e so benissimo che se doveva succedere sarebbe già successo. No, la verità sta altrove, lasciate perdere romanticherie e facile psicologia, ve lo dico io che, modestamente, non ho rivali in quanto a conoscenza del sottoscritto. I contatti, è li che va cercata la mia riluttanza al legame d’amore, il contatto, quello fisico, mentale, qualunque sia insomma, il contatto, quello. Il contatto, insomma, non mi interessa, lo trovo impegnativo, dispendioso. Tutt’altra cosa è il solitario rapporto del guardone, colui che può soddisfare le sue necessità a proprio piacimento, senza dover sempre contrattare affetti e piaceri con estranei.

Sono un postino. E’ il mio mestiere da quindici anni a questa parte. Cosa ce ne frega a noialtri? Fu proprio allora, con le prime raccomandate, che iniziai a capire. Ora, immagino che fantasie ne avrete tutti, uomini, donne o animali voi siate. Vi imbattete in qualcosa di gradevole, osservate, create. Chi più chi meno, ci si è passati tutti. A me, però, non passa. Quel nome, quel sorriso dopo la consegna dell’ordinaria, quel malizioso sbuffo come dire “me la sono cercata, ma che ladri con sti autovelox”, quelle mani affusolate…. non sono uomo d’azione e andare di fantasia non mi basta, ho bisogno di vedere, guardare quelle labbra gommose negli atteggiamenti di tutti i giorni, scovare vizi e passioni che si celano dietro quegli occhi. Non è un mero osservare nudità, o almeno non solamente, non basta. Ci vuole altro, pezzi di vita, atteggiamenti, espressioni, tutto fa brodo. Un tempo era difficile, era davvero necessario seguire le persone, appostarsi, frugare tra i residui e finire per essere avvistato, additato di perversione, di praticare una disciplina che porta solamente infamia. Lo ammetto, è capitato anche a me di nascondermi nel parco, gettare matite in terra quando la sbadataggine di una ragazza seduta offriva uno spiraglio, ma che sofferenza.

Non amo le rivoluzioni, i francesi mi stan pure sulle balle. Di Russia e Cuba non ne parliamo neppure. Tuttavia, se c’è una rivoluzione che ho sentito davvero mia è quella digitale. Mi bastarono pochi www per capire che la mia vita sarebbe cambiata. Una manna dal cielo: ci si trovava di tutto, foto rubate, amatoriali, vicine di casa di chissachì, professoresse di chissachè. Per la prima volta nasceva la solidarietà tra guardoni, proprio noi, da sempre isolati nella nostra passione che voi chiamate perversione. Divenimmo finalmente una comunità, uniti nello scambio, consigliandoci link e quant’altro senza rischiare il nome e la faccia.

Poi le vicine di casa di chissachì e le professoresse di chissachè divennero proprio le nostre, quelle che avremmo voluto vedere, ma avevamo sempre e solo sognato. Ho sempre pensato che quel ragazzo smanettone e secchione fosse un guardone latente. Che invenzione, Facebook. Basta un nome, a volte anche solo un conoscente, una pagina condivisa. Infinite sono le possibilità per arrivare alla persona cercata. Nulla può più fermare la mia sete di immagini condivise.

E’ ormai un mese che lavoro in Via Milano, condomini popolosi a due chilometri dal centro città. Al numero due c’è Elisa Rosinaldi, sorriso leggermente smorzato da una smorfia tendente a sinistra, occhi tagliati di colore indefinibile. E’ una ragazza alla mano, non se la tira e non nega una battuta a nessuno. Postino compreso. Nei miei confronti è molto gentile ed espansiva, non so se c’è interesse, ma diciamo che mi parrebbe di leggere qualcosa nei suoi sguardi, nelle frasi di circostanza che mi rivolge ad ogni firma. Se devo essere sincero, questa ragazza mi piace, risveglia in me quel desiderio di contatto che pensavo non avere nemmeno. La settimana scorsa gli ho portato una multa. Lei mi disse che non ci voleva, ma sorrideva. Poi mi spiegò che l’infrazione risaliva alla vacanza in Puglia di due mesi prima. Per lo meno, una vacanza davvero memorabile. Una vacanza di cui io sapevo tutto, così come di tante altre cose la riguardavano, grazie alle foto di Facebook.

E qui ho perso la trebisonda. Non so cosa mi è preso, forse un tentativo inconscio di abbordare, fatto sta che ho iniziato a fare domande che non avrei dovuto lasciarmi scappare, chiesi se preferiva la Puglia o la Sicilia che aveva visitato l’anno precedente, affermai di sapere che erano in Salento erano in tre, mentre di solito si muovevano in quattro. Erano cose che in teoria non avrei dovuto sapere. Elisa si è subito allarmata, il sorriso smorzato a sinistra è scomparso dal suo viso. Poi mi ha posto quella terribile domanda. Non ho saputo rispondere, non potevo dire che l’ho a lungo spiata su Facebook. Lei è rientrata salutandomi fredda.

E’ stata una batosta, credetemi. Per la prima volta ho sentito il bisogno di contatto ed il dolore dell’abbandono. E dire che quasi non la conoscevo nemmeno, pur sapendo un sacco di cose su lei. Ora sono qui, nella mia casa, solo. Per la prima volta pronuncio questa parola: solo. Sto pensando di cambiare, spodestare Nickname e avatar e riprendermi la vita, la mia faccia e il mio nome.

E’ suonato il campanello. La portinaia mi ha consegnato un plico e mi ha chiesto di consegnarlo ad una delle ragazze del piano di sopra. Mi ha detto “tra giovani vi intendete e poi io quelle non le vedo mai.” C’è poco da intendersi, io non ci ho mai parlato, so solo che sono tre studentesse. Sto guardando il plico. C’è scritto un nome: Silvia Cabito.

Digito il nome su Facebook. Poi darò un occhio a Google, non si sa mai. Poi cancello tutto e cambio vita.



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