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Il guerriero occidentale [6]

Creato il 06 giugno 2011 da Ludovicopolidattilo

Si conclude la vicenda iniziata qui: [1] e proseguita qui: [2], [3], [4] e [5].

L’illustrazione mostra Sabrina Harman e Charles Graner fotografati mentre torturano alcuni prigionieri presso l’istituto di detenzione situato nella città di Abu Ghraib, 32 km a ovest di Baghdad (Iraq).

Perelman: Non siete un avversario cedevole, debbo riconoscerlo. Se non nutrissi per voi un odio smisurato dovrei tributarvi rispetto e forse persino ammirazione.
Olbrecht-Tyteca: Ho rimpianto numerose volte in battaglia di non avere al mio fianco un uomo tenace quanto voi. In taluni momenti sarei tentato di considerarvi alla stregua di un pari piuttosto che a quella di un avversario. Eppure ogni volta il disprezzo per ogni vostra fibra mi riporta fiato rovente alle nari e sangue purpureo agli occhi, allora debbo scagliarmi su di voi dimentico di ogni umana esitazione per cercare di dilaniarvi le carni con questa lama.
Perelman: Vi comprendo caro Maresciallo, se ci liberassimo degli abiti e delle convenzioni quante somiglianze paleserebbero due cuori di guerriero dentro due corpi fieri delle proprie cicatrici e della morte che hanno saputo distribuire lungo fulgide carriere? In quante occasioni avrei agito come voi avete agito e quante volte sarebbe accaduto l’opposto?
Olbrecht-Tyteca: Mille e più.
Perelman: Di certo assai di più, una per ogni stoccata, una per ogni fendente, una per ogni ordine d’attacco. Innumerevoli gloriose occasioni.
Olbrecht-Tyteca [rallentando il ritmo degli attacchi]: Questa imprevista e paradossale manifestazione di sodalità mi porta a fantasticare oltre il legittimo. Devo soffocare questa tendenza riprovevole combattendo con più foga [lo fa].
Perelman: Non chiedo di meglio ma ditemi quali fantasie siete riluttante ad assecondare.
Olbrecht-Tyteca: Nulla che si addica ad un militare.
Perelman: Suvvia soddisfacete la curiosità che avete tanto abilmente sollecitato.
Olbrecht-Tyteca [quasi immobile]: Ebbene mi chiedo cosa accadrebbe se facessi ciò che non può essere fatto, ciò che dei, umani e natura stessa inorridirebbero nello scorgere.
Perelman [anch’egli rallentando i movimenti]: Mi pento di avere domandato. Non dite altro.
Olbrecht-Tyteca: Troppo tardi colonnello. Ora le mie parole rifuggono ogni responsabilità e persino l’inerzia del ruolo di una intera esistenza non sa frenarle: debbo esprimere il dubbio che mi lacera.
Perelmam: Vi ucciderò!
Olbrecht-Tyteca: Siete immobile poiché avete cessato di attaccarmi. Avete cessato di attaccarmi poiché la mia domanda è anche la vostra.
Perelman: Allora ponetela e riprendiamo infine.
Olbrecht-Tyteca: Cosa accadrebbe, dunque, se lasciassimo cadere le nostre spade?
Perelman: Una sosta è una sosta. Il numero di respiri che deve essere e la mano di nuovo pronta e salda afferra la spada e la spinge nell’aria verso il corpo dell’avversario.
Olbrecht-Tyteca: Sapete bene che intendo altro. Se noi due, voi ed io, siamo emblemi o archetipi ancestrali di una realtà – chiamatela come volete: crudeltà, odio, conflitto o lotta – quali conseguenze seguiranno a quella realtà una volta gettate le armi nella polvere?
Perelman: Trastulli da scriba ozioso. Sofismi sterili di camerlengo. Passatempi cerebellari degni di eunuco riformato.
Olbrecht-Tyteca: Si sperimenti se così è.
Perelman [terrorizzato]: Non oserete.
Olbrecht-Tyteca: Ecco [getta la spada a terra distante].
Perelman [dopo un lungo lasso di tempo in cui permane immobile e non sa come agire]: Che il sia il cielo o il Tartaro, qualunque regno mi abbia sputato qui e governi i miei gesti, mi possa perdonare [apre la mano e la spada la cui punta è appoggiata al suolo cade].

[trascorre un tempo prolungato senza che accada nulla; i duellanti attendono qualcosa; la fanciulla dichiarante guerra entra in scena e si avvicina ai due]

Deimos: Cosa è accaduto Enio?
Enio: Avete cessato di combattere.
Phobos: È sembrato semplice.
Enio: Lo è parso Phobos.
Phobos: Cosa comporterà ciò per il mondo?
Enio: Tutte le conseguenze sono già acquisite nella configurazione delle cose.
Phobos: Descrivile allora.
Enio: Il mondo è un giardino ove esseri animati e creature immobili vivono insieme lambendosi senza mai urtarsi. Ogni contatto è bacio, carezza o abbraccio. L’acqua scorre felice di scorrere. Così il fluire per il vento. Ogni cibo è nettare che appaga e sfama. La ricchezza si distribuisce ovunque senza che si debba dare o chiedere. Ciascuno ha del suo e quanto gli basta e soddisfa. Chi si stanca di amare riposa e poi ama di nuovo ristorato. Non occorre di lavorare se non si vuole, che altri provvedono per diletto a edificare ripari per il capo e a forgiare scale per guardare dall’alto tutto ciò che è bello. Il sole illumina e scalda il giusto e senza remora alcuna né sottigliezze. Non si conosce la parola vizio. Sana l’onda sulla riva se si vuole attenderla e una foglia qualsiasi giustapposta alla ferita per chi vive lontano dall’oceano. Male e morte si risolvono sovente. Quando li si vive si chiama esperienza e si accetta volentieri. Ciascuno sorride e accanto all’amico ride forte. Corre solo il bambino e l’innamorato verso la sua sposa distante. Si saluta chiunque. Si dice quanto occorre. Di arte se ne vede e se ne fa se si vuole ma ogni gesto e ogni chioma lo è.
Deimos: Di Deimos e Phobos cosa si dice? Viene loro tributata gratitudine? Si venerano i loro nomi? Vengono offerte spezie e ambre presso i loro tabernacoli?
Enio: Non vi importi di ciò.
Deimos: Dicci, che importa.
Phobos: Parla, che ti si aspetta.
Enio: Vuoi sapere dei vostri nomi? Vuoi sapere dei vostri onori?
Deimos: Ti si chiese già.
Enio: Nessuno ricorda di voi.

[Deimos e Phobos appaiono paralizzati da uno stupore che sembra mutare in ira poco a poco; poi si guardano l’un l’altro]

Deimos: Agisci fratello mio.

[Phobos afferra la spada che giace a terra e trafigge Deimos]

Enio o fanciulla dichiarante guerra [rivolta al pubblico, sulo sfondo il corpo di Deimos esanime sovrastato dalla figura impietrita del fratello]: Cittadini, gli eventi in Iraq hanno raggiunto i giorni della decisione finale. Per più di una decade gli Stati Uniti e le altre nazioni hanno perseguito sforzi pazienti e onorevoli per disarmare il regime iracheno in maniera pacifica. Il regime avrebbe dovuto rivelare e distruggere le sue armi di distruzione di massa come condizione per la fine della guerra del Golfo del 1991.
Da allora il mondo è stato impegnato in dodici anni di diplomazia. Abbiamo votato più di una dozzina di risoluzioni nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Abbiamo inviato in Iraq centinaia di ispettori per controllare il disarmo. La nostra buona fede non è stata ricambiata. Il regime iracheno ha usato la diplomazia per guadagnare tempo e vantaggi. Ha ignorato continuamente le risoluzione del Consiglio di Sicurezza che richiedevano il pieno disarmo. Nel corso degli anni gli ispettori dell’Onu sono stati minacciati dagli ufficiali iracheni. Sono stati spiati elettronicamente e sistematicamente ingannati.
Gli sforzi di disarmare l’Iraq in maniera pacifica sono falliti continuamente perché non ci siamo trovati a trattare con gente pacifica. L’intelligence dei diversi Governi non lascia dubbi sul fatto che il regime iracheno continui a possedere e a nascondere alcune delle armi più letali mai costruite. Questo regime ha già usato le armi di distruzione di massa contro i suoi confinanti e contro il suo stesso popolo. Il regime ha una storia di spietate aggressioni nel Medio Oriente. Ha un odio profondo verso l’America e verso i nostri alleati e ha aiutato, istruito e protetto terroristi, compresi quelli di al Qaeda. Il pericolo è chiaro: i terroristi riusciranno a soddisfare le loro ambizioni e a uccidere centinaia di migliaia di persone innocenti nel nostro e in altri Paesi usando le armi chimiche, biologiche e, un giorno, nucleari ottenute con l’aiuto dell’Iraq. Gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno fatto nulla per meritare queste minacce, ma faranno tutto il possibile per respingerle. Invece di lasciarci andare verso la tragedia, ci dirigeremo verso la sicurezza.
Prima che il giorno dell’orrore possa arrivare, prima che sia troppo tardi per agire, questo pericolo sarà rimosso. Gli Stati Uniti d’America hanno l’autorità sovrana di usare la forza per assicurare la loro sicurezza nazionale. Quest’obbligo ricade su di me come comandante in capo, attraverso il giuramento che ho pronunciato e per la promessa che manterrò.
Le decadi di crudeltà hanno raggiunto la fine. Saddam Hussein e i suoi figli devono abbandonare l’Iraq entro 48 ore. Il loro rifiuto di farlo si tradurrà in un conflitto militare che inizierà quando meglio noi riterremo. Per la loro sicurezza tutti gli stranieri, giornalisti e ispettori compresi, dovrebbero lasciare immediatamente l’Iraq.
Se Saddam Hussein dovesse scegliere il confronto, il popolo americano sa che ogni misura per evitare la guerra è stata presa, così come sarà presa ogni misura per vincere. Gli americani conoscono il costo del conflitto, perché lo hanno già pagato in passato. La guerra non ha certezze, tranne quella del sacrificio. Comunque l’unico modo per diminuire il pericolo e la durata della guerra è applicare la piena forza e potenza del nostro esercito e noi siamo preparati a farlo.
Se Saddam Hussein tenterà di attaccarsi al potere questo avrà conseguenze terribili. Sappiamo che per la disperazione lui e i suoi amici terroristi cercheranno di condurre attacchi terroristici contro il popolo americano e contro i nostri alleati. Questi attacchi non sono inevitabili. Sono comunque possibili. E questo fatto sottolinea la ragione per cui noi non possiamo continuare a vivere sotto la minaccia del ricatto.
Abbiamo scelto di andare incontro alla minaccia adesso, mentre sta nascendo, prima che essa appaia improvvisamente nei nostri cieli e nelle nostre città. La causa della pace richiede a tutte le nazioni libere di riconoscere delle realtà nuove e innegabili. Nel ventesimo secolo, alcune persone hanno scelto di seguire dittatori assassini le cui minacce furono lasciate crescere nel genocidio e nella guerra globale. In questo secolo, quando il malvagio trama il terrore chimico biologico e nucleare, una politica di lassismo potrebbe portare a una distruzione di un genere mai visto sulla terra. I terroristi non rivelano le loro minacce con dichiarazioni formali e il rispondere a questi nemici solo dopo che essi hanno attaccato, non è autodifesa. È suicidio.
Le nazioni libere hanno il dovere di difendere i loro popoli unendosi contro la violenza e stanotte, come abbiamo fatto in passato, l’America e i suoi alleati accettano questa responsabilità.
Buona notte e che Dio continui a proteggere l’America.
[dal discorso di Bush a Washington - 18 marzo 2003]

Perelman [si ode solo la voce]: Maresciallo, avete mai riflettuto sulla ragione che ci spinge a cercare nuove carni da penetrare con lame, uncini e proiettili, senza sosta e senza che ciò plachi mai la nostra brama? Eppure la possibilità del dolore e della morte dovrebbe frenarci.
Olbrecht-Tyteca [si ode solo la voce]: Pavento ben altro dal dolore e dalla morte. Ragionate: se non fossimo a tal punto temuti, forse si riderebbe di noi.



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