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“Tu non c’entri. Il problema sono io e non meriti di stare con una come me”.
Banale, come gli spaghetti aglio, olio e peperoncino, che però sono efficaci quando la fame ti stropiccia lo stomaco ed hai la necessità di distenderlo. Un pò come quando l’amore finisce ed hai bisogno di quella libertà oleosa e piccante, come gli spaghetti.
Giorgio con quella frase capì che ad essere mollati non ci si abitua mai e pensò che la vita è troppo furba per poter star sempre in guardia. Così decise di diventare un abitudinario.
Se sei insoddisfatto l’abitudine è monotonia, costrizione, ma se i tuoi giorni ti piacciono allora diventa una roccaforte in cui sentirti leggero, e perfino la grattata di sedere appena svegli smette di essere meccanica, diventando la prospettiva di un piacere che sai arriverà.
A Giorgio piaceva darsi una grattatina al sedere appena sveglio e, come tante altre piccole cose, sapeva che sarebbe arrivata puntuale, cosa che lo rendeva sereno.
Però non era un tipo dalle vedute ristrette.
- Vedi, l’abitudine, a differenza della regola, non è un concetto rigido ma elastico.
- Scusa, io non vedo molta differenza. Col tempo, l’abitudine si cristallizza al punto da divenire regola.
Questo era Matteo, un vecchio compagno di università di Giorgio.
- Ora ti spiego.
- Sì, così magari ci capisco qualcosa…
- Che giorno è oggi?
- Lunedì.
- Ecco, e cosa faccio di solito il lunedì sera?
- Guardi un film in dvd.
- Bravo. Ora, invece, sono seduto con te a parlare e a bere.
- Eh, ma noi lo facciamo spesso!
- Appunto! Se vedere il film in dvd fosse una regola, ora non sarei qui, ma è un’abitudine sulla quale si sovrappone l’altra abitudine del bere qualcosa insieme a fine giornata. Vedi che è un concetto elastico?
- Mmm, sì…
Matteo non era convinto. Decise quindi di rendere scivoloso il terreno, si avvicinò a Giorgio stringendo la testa tra le spalle e, sorridendo:
- E con le donne? Da quando sei stato mollato non hai avuto una relazione che sia durata oltre una notte… anche questa è abitudine? Oppure è una regola? Magari per non star male.
Giorgio sorseggiò la sua birra fissando il punto indefinito nel vuoto che finiva sul seno della cameriera a qualche metro dal loro tavolo. Rispose a testa bassa, guardandosi i polpastrelli mentre cercava di asciugarli dall’acqua che bagnava il bicchiere.
- Un’abitudine è una scelta tua, o forse è lei che sceglie te, non saprei. Una cosa del genere non può essere lasciata all’arbitrio di un’altra persona, non sarebbe più un’abitudine. Una relazione stabile può essere fatta di abitudini ma non è abitudine.
Non aveva risposto, lui lo sapeva. Matteo lo sapeva, ma non disse nulla. Pensò che gli amici devono rompere solo se l’altro sta male, e in questo caso non era così.
- Quindi?
- Quindi cosa?
- Quindi l’amore non rientra nel tuo concetto elastico di abitudine, giusto?
- Non lo so, ci devo riflettere. Magari diventerò un guru di questa filosofia, scriverò un libro, venderò milioni di copie e ti offrirò da bere.
- Taccagno.
La seratà finì, come le altre, disintossicandosi dal giorno passato, ricaricandosi per quello successivo.
Camminando verso casa Giorgio pensò al da farsi: avrebbe sorseggiato qualcosa di forte fumando una sigaretta affacciato al balcone, poi si sarebbe preparato per la notte e avrebbe letto un libro aspettando il sonno.
Sull’immagine di lui a casa svoltò l’angolo, scontrandosi con forza con una ragazza che camminava a passo svelto. Si ritrovarono a terra, lui sopra di lei: banale.
Sentiva il seno morbido sul suo petto mentre veniva attirato dai lunghi capelli neri.
Istintivamente iniziò ad attorcigliarne una ciocca intorno alle sue dita, sorridendo. Anche lei sorrideva, di imbarazzo. Fu Giorgio a rompere il silenzio.
- Sai, potrei abituarmi a questo.
Banale, come un piatto di spaghetti aglio, olio e peperoncino. Però, con quella frase pensò che ci aveva veramente preso, davanti a quella birra, che veramente l’amore non è questione di abitudine, ma attitudine.
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