Magazine Attualità

Il gusto di Calendimaggio

Creato il 01 maggio 2013 da Retrò Online Magazine @retr_online

«Tra colli, prati e monti,/ di fior tutto è una trama:/ canta, germoglia ed ama/ l’acqua, la terra, il ciel» (da “Maggiolata”, Giosuè Carducci). Si apre così, tra colori vivaci e gusti di terra, il mese di maggio – anche se, stando al meteo, sembrerebbe più di trovarsi in un novembre inoltrato, quantomeno per il Settentrione. Le festività e i riti legati alla primavera risalgono alla notte dei tempi: con il termine “calende di maggio” (etimologicamente “i primi giorni del mese”) si era soliti indicare in passato il momento destinato alla celebrazione della rigenerazione della natura, un risveglio non semplicemente arboreo, ma anche sociale e gastronomico. Un risveglio anche amoroso stando alla letteratura, dal momento che proprio a calendimaggio avvenne l’incontro tra Dante e la sua bella Beatrice. Erano insomma momenti fondamentali per la vita comunitaria, tanto che ancora oggi queste tradizioni sono vivissime in tutta l’Italia appenninica e mediana.

L’elemento performativo e profano, fino a metà del XX secolo, era fortissimo: tutto il popolo, nel ricordo del festum medievale, partecipava al piacere di vivere la buona stagione, alle danze e ai canti corali. Perno centrale era l’albero, detto “il maggio”: «lo si innalzava nella piazza e veniva ornato di vettovaglie che i più arditi “maggiaioli” si contendevano nel corso di spericolate arrampicate; la festa diventava pretesto per chiedere la liberazione da obblighi e limitazioni, l’albero diventava il simbolo della libertà», così riporta la rivista web TaccuiniStorici.it.

Esaurita la sua funzione di riscatto sociale, l’albero iniziò ad accostarsi ad immagini di abbondanza. Nacquero così l’utopia della dovizia e dell’eccesso, il mito dell’Albero della Cuccagna e i vagheggiamenti del Bengodi: in altri termini, i contadini, gli artigiani e tutti gli altri attori delle ricorrenze popolari, stanchi della povertà e della fame, cominciarono ad esigere, almeno una volta all’anno, laute mense e generosi banchetti. Ecco spiegata la ricchezza gastronomica delle feste di Calendimaggio.

Ma quali sono i suoi sapori? Il quinto mese dell’anno è quello ortolano per antonomasia: insalate, piselli, spaghetti con le zucchine, asparagi da intingere nel pinzimonio. Sono solo alcune delle tante ricette tipiche del panorama nostrano. Un interessante piatto abruzzese di questo periodo è il cosiddetto Minestrone delle Virtù: le “virtù” a cui ci si riferisce sono quelle usualmente richieste alla buona madre di famiglia. Secondo la ricetta canonica dovrebbero essere presenti ben sette (numero magico) diversi ingredienti: sette legumi secchi reduci dall’inverno, sette verdure nuove offerte dalla primavera, sette legumi freschi, sette condimenti, sette qualità di carne e sette di pasta con l’aggiunta di sette chicchi di riso. Il tutto dovrebbe cuocere sette ore perché il minestrone finalmente acquisti le sue virtù di bontà.

Una versione rivisitata della ricetta per 8 persone richiede invece: 50 gr. rispettivamente di fave secche, fagioli (bianchi e colorati), lenticchie, ceci, piselli, cicerchie (un legume molto saporito, di antica tradizione, oggi rivalutato nell’ambito della cucina mediterranea); poi mezzo chilo di ortaggi misti (sedano, porro, cicoria, biete, indivia, lattuga, cipolla); 2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; prezzemolo fresco; sale e pepe. Riguardo la preparazione, dopo aver ammollato i legumi in acqua per un giorno intero, è necessario sciacquarli, scolarli e cuocerli separatamente. A cottura quasi ultimata, essi vanno riuniti in un unica casseruola. Nel frattempo va allungato il brodo di cottura, lo si deve aggiustare di sale e vanno versati all’interno gli ortaggi, lavati e tagliati a pezzetti. La cottura, a fuoco vivo, dura poco più di un quarto d’ora.

Articolo di Matteo Tamborrino.

20130501-153041.jpg


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :