Le elezioni legislative in Kazakistan, com’era prevedibile, non hanno provocato grossi scossoni nel sistema politico del paese centro-asiatico, sito nel cuore del continente e ricco di risorse naturali. Il partito del presidente Nazarbaev ha ottenuto un’amplissima maggioranza, anche se, complice una riforma elettorale, si troverà a convivere con altre due formazioni politiche nel nuovo parlamento. Scontata, anche, la condanna da parte dell’OSCE.
I cittadini kazaki si sono recati alle urne domenica scorsa, 15 gennaio 2012, per eleggere la nuova Assemblea (Mažilis), camera bassa del Parlamento (Parlamenti). Le elezioni erano inizialmente fissate per agosto, ma sono state anticipate quando, su richiesta di 53 deputati, il presidente Nursultan Nazarbaev ha deciso di sciogliere la camera. Ufficialmente, l’elezione anticipata è stata motivata dalla volontà di concentrarsi, in quest’anno che si preannuncia particolarmente critico per l’economia mondiale, sui prevedibili contraccolpi di cui risentirà il Kazakistan.
Molti commentatori hanno accusato il governo di voler impedire alle opposizioni d’organizzarsi, ma è altresì vero che, partendo da una base di quasi il 90% di consensi alle precedenti elezioni, il partito al potere non necessitava di simili escamotage per avere la meglio. Inoltre, i partiti politici kazaki stanno perdendo il loro carattere “estemporaneo”, riuscendo ad affermarsi come entità vive ed attive anche nelle pause tra un’elezione e l’altra. Pausa che in questo caso è stata breve, considerando che solo pochi mesi fa si sono tenute le elezioni presidenziali.
Il paventato “effetto Edinaja Rossija” – ossia un tracollo elettorale come quello patito in Russia dalla formazione del presidente Medvedev – non si è materializzato in Kazakistan, dove il partito di Nazarbaev, Nur Otan, ha retto abbastanza bene, perdendo rispetto a cinque anni fa meno dell’8% dei consensi. Ben poca cosa, se si tiene conto del fatto che, ancora domenica scorsa, i suffragi ricevuti dal Nur Otan hanno superato l’80%.
Ma il vero motivo d’interesse di queste elezioni era dato dalla novità apportato dalla riforma elettorale del 2008. La passata legislatura è stata monopartitica: ai 98 rappresentanti del em>Nur Otan si sono aggiunti 9 indipendenti, ma nessun rappresentante dell’opposizione, dal momento che alcun partito aveva oltrepassato la soglia di sbarramento del 7%. La riforma ha assicurato che, per lo meno il secondo partito classificato, anche se al di sotto della soglia, abbia accesso all’Assemblea.
Col primato del Nur Otan inscalfibile, la seconda piazza era molto contesa. Il quadro è stato semplificato dall’esclusione per irregolarità di Ruchanijat, partito che alle precedenti elezioni si era fermato allo 0,4% ma che pare sia in rapida crescita nelle aree rurali. Il secondo classificato delle legislative del 2007, il Partito Social-Democratico Nazionale Azat (Obščenacional’naja sozial-demokratičeskaja partija), ha visto la sua popolarità indebolita dai recenti avvenimenti del Mangistau, in occasioni dei quali ha cercato, senza successo, di fare da mediatore tra il Governo e gli scioperanti – scontro che ha finito per avere esiti tragici. Inoltre, molti membri del Partito Social-Democratico nel corso degli ultimi anni sono migrati verso Ak Žol.
Ed è stato proprio il Partito Democratico del Kazakistan Ak Žol (Demokratičeskaja partija Kazachstana) a classificarsi secondo col 7,4% dei voti. Questa formazione è popolare soprattutto tra i piccoli e medi imprenditori, e fa un’opposizione moderata e conciliante al Governo. Tuttavia, un terzo partito è riuscito a superare, seppur di poco, la soglia di sbarramento: si tratta del Partito Popolare Comunista del Kazakistan (Kommunističeskaja narodnaja partija Kazachstana) che, malgrado concorra sotto un simbolo con l’effige di Lenin, ha in realtà un programma relativamente moderato. Se Ak Žol in cinque anni ha più che raddoppiato i propri voti, il salto del Partito Popolare Comunista è stato ancora più eclatante: dall’1,31% del 2007 al 7,2% di oggi. Certo le tensioni sociali portate dalla crisi internazionale lo favoriscono. Al tradizionale sostegno di pensionati e disoccupati, s’aggiunge ora quello crescente tra studenti e contadini.
In paesi come il Kazakistan la campagna elettorale non si conclude con le elezioni stesse. Elezioni contestate hanno talvolta acceso la miccia per l’esplodere delle cosiddette “rivoluzioni colorate”, in realtà coup interni alle élites di potere, o avvicendamenti tra oligarchie, manovrati dalle potenze esterne per le proprie finalità geopolitiche. Più di mille osservatori hanno monitorato le elezioni di domenica, ma i responsi sono stati contrastanti. Mentre gli osservatori della CSI testimoniano della correttezza delle consultazioni, come da tradizione quelli dell’OSCE denunciano irregolarità. Al di là di ciò che sia effettivamente avvenuto o non avvenuto in Kazakistan, questi responsi di rado sono frutto genuino delle osservazioni sul campo, ma in genere rispondono a ben precise finalità politiche. Tramite la CSI parlano la Russia e gli altri governanti dell’area post-sovietica, ovviamente interessati al mantenimento dello status quo ed alla stabilità del paese centroasiatico – a maggior ragione ora che sta carburando il processo d’integrazione eurasiatica. L’OSCE rappresenta invece gl’interessi della NATO, che vuol esercitare pressione su Astana per inglobare il paese nella propria sfera d’influenza, e forse persino destabilizzarlo per lanciare una nuova “rivoluzione colorata”. Bulat Abilov, il dirigente del Partito Social-Democratico, ha già raccolto il suggerimento, promettendo di portare in piazza i suoi sostenitori per contestare il risultato delle elezioni. Il sistema politico del Kazakistan, senz’altro rafforzato dall’effettivo ingresso nel multi-partitismo con l’accesso di due formazioni d’opposizione al Parlamento, sarà chiamato a dimostrare la sua maturità e solidità, per confermare la fama di paese più stabile e sicuro dell’Asia Centrale.