Il «The Guardian» prosegue senza esitazioni sulla strada del giornalismo partecipativo.
Dopo aver creato ad ottobre dell’anno scorso «n0tice», open community per la condivisione di notizie locali e non solo, poi aperta a tutti dal marzo di quest’anno, ora mette a disposizione “the open journalism toolkit”, un set di strumenti per il giornalismo partecipativo.
L’iniziativa, secondo quanto dichiarato, si rivolge sia alle persone che ad altre organizzazioni editoriali e persino alle imprese che volessero utilizzare questi strumenti per realizzare campagne di coinvolgimento del pubblico di riferimento a livello locale.
Il set di strumenti comprende un tool per la realizzazione di mappe co create, uno per creare bacheche virtuali di aggregazione e condivisione di contenuti e mette a disposizione dei programmatori le API [l'interfaccia di programmazione] per ulteriori sviluppi e applicazioni della piattaforma e per la condivisione dei contenuti sugli altri social network. A breve sarà resa disponibile anche l’applicazione per smartphones.
Che la soluzione, anche per le imprese del comparto editoriale, sia nel recupero, miglioramento della relazione con i lettori, con le persone, e loro coinvolgimento, anche, attraverso la creazione di communities proprietarie è una delle tesi che sostengo da tempo. A questo punto del percorso ritengo però necessario entrare maggiormente nel merito di alcuni aspetti che caratterizzano queste iniziative, incluse quelle pregevoli del quotidiano anglosassone.
C’é un aspetto di metodo. La co creazione, quella genuina, vera, si realizza a partire dall’inizio del processo coinvolgendo le persone, il pubblico di riferimento sin dallo stato embrionale del progetto chiedendo loro ed interfacciandosi su quello che vorrebbero veder realizzato e dunque sono disponibili a partecipare attivamente a realizzare. Questo sin ora, in ambito editoriale, non mi pare sia mai stato realmente effettuato.
Se le modalità descritte non vengono portate avanti in questo modo, in realtà il processo resta top down e dunque, a mio modo di vedere, non realmente aperto e partecipativo.
C’é, anche, un aspetto di merito. Il saving economico ottenuto grazie alla collaborazione gratuita, non remunerata, del “reporter-lettore e le revenues aggiuntive che queste iniziative apportano, come sottolineavo al Festival Internazionale del Giornalismo, devono finalmente includere criteri di revenues sharing, di condivisione anche dei ricavi che si generano e non solo “ricchi premi e cotillons”.
«The Guardian», ha pensato anche a questo, sin ora, in attesa del lancio di Etalia, mi pare l’unico ad averlo fatto.
Attraverso la comunicazione, il trasferimento mutuo di contenuti, la relazione, si diviene leader del contesto economico e sociale, si trasmettono dei valori di riferimento che consentono di influenzare il rapporto con le persone, con i pubblici di riferimento. Non è necessario rifarsi alle più avanzate teorie di social media marketing, basta andarsi a leggere la storia di Adriano Olivetti e dell’impresa che portava il suo nome per capirlo.
Le “rivoluzioni”, qual’è quella che sta trasformando l’ecosistema dell’informazione, si fanno con le persone non a spese loro.
A margine, come complemento informativo, si consiglia la lettura di: Guardian’s open journalism is a failed business model.