Nel suo messaggio di fine anno il presidente Napolitano ha citato Benedetto Croce, celebre filosofo e storico del novecento italiano, agnostico anti-positivista è autore del saggio “Perché non possiamo non dirci cristiani” (1942) in cui mostra la sua convinzione nel cristianesimo come fondamento storico della civiltà occidentale, senza tuttavia aderirvi esistenzialmente. Di Benedetto Croce si è occupato recentemente anche Ilsussidiario.net, intervistando tre filosofi italiani: Massimo Borghesi, Marcello Veneziani e Massimo Cacciari.
Massimo Borghesi, docente di Filosofia morale presso l’Università di Perugia, ha spiegato che -nonostante il saggio in cui celebra le radici cristiane dell’occidente- «la religiosità di Croce rimane quella di sempre, immanente e laica. Nel 1943, di fronte alla catastrofe della guerra, il ritorno al cristianesimo, dichiarato come “la più grande rivoluzione che l’umanità abbia avuta”, è il ritorno ad una eredità preziosa che va ripresa in termini di civiltà e di cultura».
Con Marcello Veneziani, filosofo e opinionista su diverse testate giornalistiche, si è ricordato che Croce criticò i Patti Lateranensi, sostenendo che «ascoltare una messa è un fatto di coscienza», tuttavia Veneziani ha sostenuto: «Io credo che avesse torto. Nel senso che non si può immaginare una religione che sia vissuta soltanto nella dimensione privata, perché la religione, nella parola stessa, indica anche un legame sociale, comunitario, e come tale ha una dimensione pubblica. Da questo punto di vista credo che Croce sia stato l’interprete d’avanguardia di una esigenza che definirei neoprotestante, cioè quella che riduce la religione a fatto privato; senza cogliere l’importanza storica per il nostro Paese di ricucire la coscienza ferita degli italiani, divisi in modo innaturale tra l’essere credenti e l’essere cittadini», tuttavia, ha proseguito, «in un momento in cui la civiltà liberale deve unirsi alla civiltà cristiana per difendersi dal neopaganesimo nazista che sta attraversando e squassando l’Europa, Croce sente come suo dovere civile quello di richiamarsi all’eredità cristiana, fattore di identità e di coesione sociale. In questo contraddice il Croce liberale laico che invece pensa che la religione debba rimanere nel chiuso della coscienza individuale».
Massimo Cacciari, docente di Pensare filosofico e metafisica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, anche lui laico e non credente, si è posto sulla scia di Croce rispetto al cristianesimo: «come facciamo a non appartenere ad un evo che è marcato dal segno della croce? Solo uno stolto può ritenere che questo non è, per ciascuno di noi, credente o non credente, un problema, forse il problema e cioè quello della propria tradizione, delle proprie radici, del proprio linguaggio e della propria cultura. Per tutto l’idealismo tedesco il confronto con il cristianesimo è fondamentale, anzi è al centro della filosofia e questo trova puntualmente conferma in molte pagine sia di Croce che di Gentile».