Avete mai sentito parlare di uno stile di leadership “modello Drake”? Probabilmente no, perché non proviene dall’e-book dell’ultimo american boy che spiega come far soldi in tre settimane. È una definizione tratta dal mio libro “La quotazione in Borsa della Ferrari”, pubblicato da FrancoAngeli nel 2003. L’avevo “inventata” per sottolineare l’unicità di Enzo Ferrari, il “Drake” appunto.
Su quale aspetto avreste desiderato lavorare con un Business Coach o con uno Sport Coach se vi foste trovati nel panni del Drake?
Avete mai sentito parlare di uno stile di leadership “modello Drake”? Probabilmente no, perché non proviene dall’e-book dell’ultimo american boy che spiega come far soldi in tre settimane. È una definizione tratta dal mio libro “La quotazione in Borsa della Ferrari”, pubblicato da FrancoAngeli nel 2003. L’avevo “inventata” per sottolineare l’unicità di Enzo Ferrari, il “Drake” appunto. Oggi, nei panni del Business e Sport Coach e non in quelli del dattilografo, mi diverto a rileggere quel che scrissi all’epoca e propongo ai miei quattro lettori di svolgere un esercizio di fantasia (o fantascienza!): su quale aspetto avreste desiderato lavorare con un Business Coach o con uno Sport Coach se vi foste trovati nel panni del Drake?
Partiamo dal Drake. Ferrari era un uomo duro, orgoglioso, irritabile, despota e molto accentratore ed era consapevole di essere ritenuto un soggetto “abbastanza complicato”. È stato accusato di essere un egoista e lo era per davvero, addirittura egli si definiva malato di un «feroce egoismo». La sua è stata una sfida continua con se stesso, un cammino tortuoso che tuttavia gli ha permesso di realizzare i sogni dell’adolescenza.
Voi cosa siete disposti a fare, pur di raggiungere i vostri obiettivi?
Dietro agli immancabili occhiali neri, Ferrari nascondeva decenni di angosce, di gioie e di tragedie, ma sapeva anche dedicarsi con passione alle migliaia di ammiratori, spendendo due ore al giorno a rispondere alla posta (all’epoca non esistevano le email, i Feisbuc e i Tuitter!) e a inviare adesivi, foto con l’autografo e portachiavi. È stato accusato di essere un uomo inaccostabile, ma lui non si scomponeva, limitandosi a dire che era soltanto timidezza o vergogna di mostrarsi, se una sua macchina non aveva vinto.
Secondo voi, si trattava davvero di timidezza o vergogna oppure era un atteggiamento studiato, il suo? Quanto può pagare, in termini di immagine e di credibilità, il creare un alone di mistero attorno a sé?
Diceva di preoccuparsi sempre quando riceveva visite importanti, perché non voleva “creditori” e non voleva dimostrare di “essere proprio Enzo Ferrari”, perché se si fosse sentito “qualcuno” sarebbe uscito di strada.
Quanto è importante, secondo voi, raggiungere la piena consapevolezza di ciò che siamo, cosa vogliamo veramente, dove stiamo andando e come ci stiamo comportando per raggiungere i nostri obiettivi?
Nelle foto: l’immagine di copertina del mio libro – Enzo Ferrari assieme ai piloti Gilles Villeneuve e Didier Pironi
Raccontava di non essersi mai eclissato alle spalle della sfortuna e ha confessato di amare più l’insuccesso del successo, perché le vittorie lo hanno sempre angosciato, con il bagaglio di incertezza per il domani che si portavano dietro, mentre gli insuccessi erano lo stimolo per “rimboccasi le maniche” e ripartire.
Qual è il giusto equilibrio tra ricerca ossessiva della vittoria, esperienza costruttiva e sviluppo programmato?
La strategia e il decisionismo di Ferrari erano frutto di “folgorazioni”: spettava ai suoi fidati collaboratori interpretare le poche parole del capo, misurate grazie a un’estrema capacità di sintesi, assimilare il progetto, convincersi della sua bontà e mettersi al lavoro. O si condivideva la “visione” di Ferrari o si andava via o si era espulsi…
Ogni leader è un “visionario”, ma la visione va imposta con autorità ai collaboratori oppure deve essere condivisa? Secondo voi, poteva permettersi di comportarsi così soltanto perché si chiamava Enzo Ferrari, anche se non si sentiva “qualcuno”?
Il Drake aveva sempre una meta precisa da raggiungere, doveva migliorare ogni record conquistato, smetteva di amare le vittorie così come le auto appena messe in moto con emozione dopo lunga gestazione in officina, perché, ripeteva, «le vittorie e le auto amate di più, sono quelle che verranno». Il suo problema fondamentale era quello di dover vivere solo per “fare” e non per “essere”. Ferrari aveva paura di guardare dentro di sé, temendo di trovare un animo privo di emozioni e di sentimenti, e per questo motivo ha reagito costruendosi una vita fatta di impegni e di privazioni, fino al punto di vivere il piacere come una colpa! Insomma, potremmo dire che era un “leader ossessivo”, tuttavia il suo stile di leadership era e resta unico e irripetibile, ed è per questo che l’ho definito “modello Drake”.
Nella vostra mente, esiste una sorta di equilibrio ideale tra “fare” ed “essere”? Riuscite a godervi i vostri successi oppure ne siete ossessionati?