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Io dell'odradek avevo letto di sfuggita in Manuale di zoologia fantastica, poi t'arriva Enrique Vila-Matas coi testicoli pieni d'angeli e con quell'insolenza che, da strumento massimamente democratico quale è, ridefinisce le gerarchie: pàm, ti butta giù dal dirupo Jorge Luis per pigliarne il posto, foss'anche per un attimo.
Odradek, golem e bucaresti gli dan giù che son ululati di giubilo.
E quindi niente, leggevo Storia abbreviata della letteratura portatile e m'accorgo (o forse, m'illudo) d'essere uno shandy, i'm slim sha(n)dy 'cause I'm a slim sha(n)dy, e caro il mio bolide, niente, nel momento in cui penso d'essere uno shandy io SONO O NON SONO uno shandy? (chi è che lo diceva? Jorge Luìs?).
[Per inciso, lo shandy è anche un bibitone da bibitàro, birra e ginger ale, ma non scherziamo, ma siamo pazzi, col ghiaccio, poi, ma dico, siamo pazzi?]
Sembra che gli shandy conservino, intrufolati nei propri labirinti interni, certi ospiti negri, altrimenti detti, ci sarete arrivati da voi, odradek.
L'odradek di Salvador Dalì viene da dove? da lì, ed è questo, questo quale?, questo qui:
L'odradek di Salvador Dalì aveva una marcata aria festaiola e musicale, e per di più era decisamente erotico. Nientemeno ch eun incredibile violino masturbatore cinese, o strumento melodico provvisto di una appendice vibratile, destinata a essere introdotta in modo repentino e brusco nell'ano: anche e preferibilmente nella vagina. Una volta introdotto, un musicista esperto faceva vibrare l'archetto sulle corde del violino, ma non suonava la prima cosa che gli passava per la testa, bensì una partitura espressamente composta a scopi mastrubatori; il musicista riusciva a ottenere, mediante una sapiente scelta di note frenetiche, intercalate a pause di sospensione, che le vibrazioni amplificate dall'appendice provocassero l'organismo della beneficiaria dello strumento nel preciso e sincronizzato istante in cui la partitura attaccava le note dell'estasi.
Il mio, di odradek - come ti chiami? gli ho chiesto un giorno di maestrale - si chiama lénghero e somiglia ad un mezzopedalino inamidato col tallone all'insù, e sul tallone: gli occhi. Occhi piccoli, occhi da predatore in un coccinellòdromo.
Oppure, sembra pure una nocciolina americana, ha la pelle friabile e fibrosa proprio come la buccia legamentosa delle noccioline americane.
Il lénghero mio marcia nelle notti senza luna sulle mensole della cucina e cerca il ferné.
Sa suonare il marranzanu, lui sì, e con Tomasz Kuciewski ci parla in polacco, polacco di Vreslavia sud, zona Ikea.
Non sopporta le indjerà, che sono una specie di piadine romagnole ma senza squaqquerone - infatti le fanno in Etiopia, e tu l'hai mai assaggiato lo squacquero etiope? - e quando vede un supersantos gli corre incontro gridando violento "prodezza da fuori area", oppure "bolide di pregevole fattura balistica", anche se poi inciampa e finisce con le zampette dai piedi palmati all'insù.
Che a vederlo sembra proprio un pedalino inamidato nel verso giusto, e invece è il mio odradek, che ha sfanculato il golem ed il bucaresti per stare con me solo con me, il lénghero, con gli occhietti chiusi e la schiena rotta dopo un capitombolo di scrittura stellare su nespole e campi da calcio, débacle in virtù della quale mai più leggerà nemmeno una riga che sia una dell'epopea patagonica di Ildebondo Contumblante, perito a Tel Aviv nel quarantotto ed ivi sepolto sotto false spoglie in una tomba marmorea che riporta il nome di Gal Bernenstein.
E non c'è molt'altro da dire, sarebbe sconveniente andare oltre e noialtri shandy slim sha(n)dy o raccontiamo storie così, abbreviate, o ciccia.
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