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‘Il leone d’oro’: intervista a Wilbur Smith

Creato il 23 ottobre 2015 da Fedetronconi

“È il nuovo capitolo della saga della famiglia Courtney, che attraversa i più importanti accadimenti della storia del continente che più amo: l’Africa.”
Così lo scrittore zambiano Wilbur Smith, universalmente amato e stimato quale incontrastato ‘Re dell’avventura’, definisce il suo nuovo, sorprendente romanzo ‘Il leone d’oro’ (Longanesi).
L’Ultima riga ha incontrato l’autore per indagare la sua rinnovata ed entusiasmante stagione creativa, a quasi vent’anni dal celeberrimo capolavoro ‘Uccelli da preda’.

‘Il leone d’oro’: intervista a Wilbur Smith

‘Il leone d’oro’ si inserisce in una saga familiare precedente: cosa ti ha portato a rievocare personaggi di parecchi anni fa?
In realtà mi hanno sempre accompagnato nel percorso creativo. Credo che riprendere e rielaborare figure già create e ‘sviscerate’ nel corso delle precedenti narrazioni sia utile a mantenere viva l’immaginazione.
Per quanto riguarda i Courtney, non ho intenzione di abbandonarli. Mi hanno regalato il piacere di scrivere, li conosco e amo tutti (..il loro stesso cognome è quello di mio nonno!).

Nel romanzo si stagliano due figure eroiche, maschile e femminile; quale rapporto intercorre tra i due?
Ammiro molto le eroine dei miei romanzi perché le ritengo estremamente audaci e fonti di ispirazione per la controparte maschile.
Lo stesso vale nella vita reale: il mondo ha bisogno di eroi -maschili o femminili che siano- per potervi fare riferimento. Al giorno d’oggi spaziano dai campioni di calcio alle pop star.

Dagli eroi postivi ai ‘campioni di malvagità’: dal sultano, protagonista di una redenzione, all’avvoltoio, emblema di cattiveria e ferocia..
L’avvoltoio diventa solo col tempo un mostro; questo perché mi piace seguire l’evoluzione dei personaggi. Non ne conosco l’origine, si presentano mentre scrivo e vivono di vita propria.
Inoltre, nella vita è difficile trovare un personaggio ‘cattivo’ al cento per cento; esso rappresenta il male estremo, ed è raro così come per la virtù. Mi piace giocare con i due estremi, le loro sfumature ed evoluzioni, per far immedesimare ed orientare i lettori verso l’uno o l’altro di essi.

Sullo sfondo troviamo l’Etiopia e la storia del Sacro Graal: hai toccato con mano questi territori e credenze?
Sono stato in tutta l’Africa e me ne sono profondamente innamorato. Leggendo in merito i romanzi dei primi esploratori europei sono rimasto colpito dalle loro convinzioni e dalla radicata volontà di razionalizzare ciò che non conoscono. In fondo, ci confrontiamo continuamente con le stesse tematiche degli antichi: la base dei miei scritti è la loro mentalità, nel caso specifico l’Etiopia -ritenuta la culla del Sacro Graal- e indagata nella narrazione in quanto credenza significativa per ieri e per l’oggi.

Il romanzo si inserisce in una saga ma ogni libro può essere letto singolarmente. Cosa pensi dei cicli moderni in cui ogni libro è strettamente connesso ad altri?
Credo siano molto difficili da seguire. I miei sono più semplici; letto uno, si può dire “non male” [ride]..così i miei lettori abboccano e io li prendo per l’amo!

In una intervista hai parlato dell’importanza dei ‘muscoli mentali’ per l’immaginazione; quando ti sei ritenuto sufficientemente forte e ‘allenato’ per dedicarti alla scrittura?
Ho iniziato alle elementari, immaginando di essere l’eroe dei miei racconti. Anche ora lo sono sempre, o meglio colgo certe caratteristiche che non possiedo e le ‘instillo’ nei personaggi.

Il primo tentativo letterario si rivelò, tuttavia, un insuccesso…
Devo ammettere che i primi temi, lodati a scuola, e i racconti pubblicati da diverse riviste mi incoraggiarono a scrivere un romanzo completo. Ma vi inclusi di tutto, pontificando e commettendo tutti gli errori rivelatisi poi utili a capire i fondamenti della scrittura.
Quando optai per due soli personaggi e una narrazione più semplice nacque ‘Il destino del leone’ (1964).

Come hai vissuto e come vivi emotivamente la scrittura?
Scrivere è la mia vita e mi ha affascinato fin da quando ero un teenager. Mi affaccio all’esistenza come scrittore e mi chiedo come modificarla rendendola più efficace ed intellegibile proprio attraverso il processo narrativo.

Da dove trai ispirazione per nuovi romanzi e, soprattutto, come lettore?
Non so bene da dove provenga l’ispirazione.. leggo tutto quello su cui metto mano! Recentemente ho letto ‘I am pilgrim’, un racconto politico; l’impegno creativo comporta però un dispendio di tempo considerevole…e molti meno libri da leggere.

Molti dei tuoi romanzi hanno vissuto una trasposizione cinematografica: cosa prova uno scrittore quando vede i propri personaggi sullo schermo?
Dovrebbe coprirsi gli occhi e allontanarsi! I film sono qualcosa a se stante; possono essere interessanti per fama e soldi, non certo per soddisfazione personale (..una volta sono andato sul set di un mio romanzo e nessuno sapeva chi fossi!).

Wilbur Smith: un autore di fama internazionale a cena con…
Alexander Dumas per l’eccellenza e la genialità e Winston Churchill per la simpatia!

‘Il leone d’oro’: intervista a Wilbur Smith

Wilbur Smith è l’autore contemporaneo più venduto in Italia, con 24 milioni di copie. I suoi romanzi nascono da una profonda conoscenza personale del continente africano e di molti altri luoghi dove l’autore è vissuto.
È nato nel 1933 nella Rhodesia del Nord (l’attuale Zambia), ma è cresciuto e ha studiato in Sudafrica. Si è dedicato a tempo pieno alla narrativa dal 1964. Con 36 bestseller avvincenti che spaziano dall’Asia all’Africa alle Americhe e dall’antico Egitto ai giorni nostri, è considerato universalmente il ‘Re dell’avventura’.
Tra i suoi romanzi più letti e celebrati: ‘Il dio del fiume’, ‘Il settimo papiro’, ‘La legge del deserto’, ‘Come il mare’, ‘Il dio del deserto’, ‘Uccelli da preda’. I suoi libri contengono un mix di elementi irresistibili per i lettori: storia e romanzo, sentimenti e adrenalina, qualità letteraria ed energia nella scrittura.

Alla prossima lettura!

Monica

  • Myspace
‘Il leone d’oro’: intervista a Wilbur Smith

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