Fin dalla prima infanzia, Shirin Neshat ha conosciuto l’Occidente attraverso la visione fiabesca rielaborata del padre. Adora lo Shah, ne fa il suo stile di vita, ma l’idea dell’Occidente tramandatole dal padre non l’abbandona, al contrario si concretizza sempre più quando- nel 1974 da Qazvin a pochi chilometri da Teheran, viene mandata dalla famiglia negli Stati Uniti dove completerà gli studi all’Università di Berkeley. Cinque anni dopo, il fermento culturale californiano cederà il posto a una scelta necessaria, una forma di esilio forzato, per poter sfuggire alla rivoluzione del ’79. E così che la sua vita all’estero assume sfumature differenti da come se l’era immagina e quel mito favolistico dell’Occidente si trasforma in una deludente gabbia dorata.
Il bisogno di raccontare è un richiamo atavico, che sembra attaccato alla pelle e alle ossa di Shirin Neshat. Il racconto è insito nella mente, si esprime attraverso il suo corpo prima ancora che attraverso la sua produzione artistica. Da sempre Shirin Neshat è impegnata nella rappresentazione cinematografica e letteraria del suo Paese: raccontare la storia del mondo islamico, con un linguaggio intimo e profondo, scavando nei silenzi delle donne, nei loro sguardi velati, nel corpo bistrattato che solo di recente sta conoscendo la resurrezione dalle macerie della rivoluzione islamica.
Già premiata con il Leone d’Argento al Festival del Cinema di Venezia nel 2009 per il film Women without men, in cui il realismo magico di stampo europeo dei primi decenni del Novecento, il taglio cinematografico dei film d’autore degli anni Sessanta e lo stile documentaristico americano fanno da sfondo all’intenso lavoro sull’identità della donna, sulla violenza quotidiana inflitta al suo corpo, sulla solitudine nella quale è costretta a vivere, Shirin Neshat è tornata in scena con un lavoro corposo di matrice letteraria: i versi di Ferdowsi riproposti attraverso la pittura accompagnata da installazioni fotografiche, cornici incantevoli in cui passato e presente si alternano creando un connubio perfetto.
Protagonista di questo nuovo progetto, accolto all’Espacio Fundaciòn Telefonica all’interno di PhotoEpania 2013 fino al primo settembre, è di nuovo il corpo non più mutilato e violato nella sua intima essenza ma avviato verso un processo di liberazione. Il riscatto culturale che la donna sta vivendo negli ultimi tempi si esplica nei ritratti che compongono le varie sezioni della mostra. Ogni ritratto è ricoperto dai versi o dai disegni dell’opera di Ferdowsi, Il libro dei re, costato all’autore trentacinque anni di lavoro.
Simbolo della storia persiana, Il libro dei re, oggi l’epopea più conosciuta in Iran dopo il Corano, narra le gesta eroiche e cavalleresche, le sciagure, i miti e le leggende di un popolo alla continua ricerca della sua identità. In seguito alla stesura di quest’epopea ne vennero composte altre che ne riproducevano la forma e i contenuti. Nonostante ciò, nessuna riuscì mai a eguagliare Il libro dei re per importanza storica, sociale e linguistica. Difatti la lingua e le tradizioni del mondo persiano devono la loro sopravvivenza proprio ai versi di Ferdowsi.
È dall’humus culturale, dalla vivacità intellettuale, dal groviglio di storia e racconti popolari contenuti nell’opera di Ferdowsi che Shirin Neshat ha attinto per dare vita al suo nuovo progetto. I ritratti raccontano le persone simbolo del mondo islamico: le donne, gli uomini, i capi autoritari, le vittime e i risorti. Sessanta tavole, che mostrano i volti della contemporaneità, sulle quali Shirin Neshat ha riscritto la storia del suo Paese, attraverso l’epopea di Ferdowsi, le imprese e le leggende che hanno fatto la grandezza del suo popolo. L’artista ha ridato voce al mondo islamico, al dualismo tra modernità e passato tanto evidente nel suo lavoro quanto nella cultura stessa portando alla luce quello che spesso viene taciuto, omesso dalle notizie che i mass media hanno fretta di trasmettere riguardo le guerre, il sangue, i morti. È un Islam, quello narrato dalla Neshat, che si nutre di ideali democratici e che vuole essere letto e guardato come tale.
Shirin Neshat offre una possibilità, uno sguardo del tutto nuovo sulla cultura del suo Paese. Chiede all’osservatore di prestare attenzione a ciò che c’è oltre la tela, oltre i versi di Ferdowsi, laddove lo sguardo degli Occidentali, spesso, non vuole posarsi.
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