Quando si avvide che era giunto il momento di lasciare questa terra il padre chiamò il figlio presso di sé per comunicargli i suoi ultimi pensieri.
«Presto il sole tramonterà e con lui io partirò destinato a un viaggio senza ritorno. Non ci vedremo più, figlio caro, ma spero che quanto sto per dirti resterà dentro di te come la mia più bella eredità. Ho commesso i miei errori e mi dispiace di averli fatti pagare anche ad altri. Impara intanto a non ripetere questo mio sbaglio. Nonostante tutte le mie precauzioni, non ho onorato sempre gli impegni trovando scuse e discolpe per giustificarmi. Assumiti gli oneri delle tue manchevolezze, non fare l’indulgente con te stesso. Non voler apparire, come ho fatto io, un sapiente che non ha mai bisogno di chiedere aiuto. Ammetti le tue debolezze e cerca di far capire alle persone la bellezza di questo riconoscimento. Non farti chiamare saggio, quando non lo sei, e non considerare la tua età che avanza come garanzia assoluta del miglioramento del tuo intelletto. C’è chi invecchia diventando sempre più sciocco… Piuttosto, fatti chiamare “scemo totale”, sarà sempre meglio dell’ostentazione di un’intelligenza fasulla, immaginaria…»
Pronunciate queste parole, il padre fece segno al figlio di essere giunto alla sua fine. Si spense dolcemente, come un bambino che si addormenta.
Da quel giorno il figlio scelse proprio l’appellativo suggerito dal padre e fu così che si fece chiamare Zǒng Báichī.
© Marco Vignolo Gargini