Il libro sul comodino#5: Il corpo umano di Paolo Giordano

Creato il 05 febbraio 2013 da Miki82 @Imaginary82
Scrivo questo post a notte fonda. Ho appena spento il mio Kindle dopo aver terminato "Il corpo umano", divorato durante ore di insonnia e brevi minuti di pausa.
Non ho letto "La solitudine dei numeri primi" e non sapevo cosa aspettarmi dalla prosa di questo autore italiano, elogiato da alcuni e disprezzato da altri.
Non amo particolarmente la narrativa italiana e non c'è nessun autore, ad oggi, che mi abbia suscitato con le parole emozioni così forti da farmi desiderare di leggere altri suoi scritti. Sarò prevenuta, sicuramente, eppure leggere sulla copertina un nome italiano è per me un punto a sfavore del romanzo, anche se ha una bella trama, un'attraente copertina ed un prezzo accessibile. Nonostante ciò, la prima volta che ho visto questo libro, ha attirato da subito la mia attenzione.

Il volto del soldato, con il suo basco sul capo, che ai più sembra cadere floscio e scomposto, mentre è rigido e posizionato con precisione millimetrica, con la sua espressione a metà tra l'indifferente, il coraggioso ed il terrorizzato, e poi quelle braccia che lo avvolgono decise a non lasciarlo andare ma consapevoli di doverlo fare, consapevoli del dolore che quella lontananza provocherà e del pericolo che dovrà affrontare... Tutto questo mi ha come ipnotizzata. Ho letto la trama e deciso che sarebbe stato mio e che lo avrei letto nonostante sapevo che sarebbe stata una grande sofferenza.
E non mi sbagliavo. Ogni singola pagina del romanzo di Giordano mi ha scosso come una foglia al vento. Durante la lettura ho pianto e singhiozzato, ho tremato, sono rabbrividita, mi sono incazzata e, in generale, ho sofferto. Tanto.
Le sue parole sono talmente realistiche, talmente prive di ogni forzato abbruttimento, che sembra di essere lì, in Gulistan, nella provincia di Farah, Afghanistan occidentale, teatro reale della morte di uno dei nostri ragazzi, Michele Silvestri, ucciso da un colpo di mortaio, in quella che dai talebani è considerata una via di fuga importantissima, un corridoio indispensabile per il traffico di uomini, armi e oppio.
"La valle delle rose" eppure, così come viene descritto nel romanzo, non c'è nulla di poetico o floreale in una distesa sconfinata di sabbia e rocce, dove un ordigno rudimentale può nascondersi sotto ogni singola irregolarità del terreno.
Non c'è nulla di poetico nella fob, in cui si stabilisce il plotone denominato Charlie, ancora sabbia, circondata da mura, esposta impietosamente agli attacchi dei talebani.
E poi ci sono loro, i corpi, i ragazzi che per motivi diversi hanno intrapreso questa missione, noncuranti del pericolo oppure consapevoli ma coraggiosi o consapevoli e terrorizzati. Ragazzi che hanno lasciato in Italia famiglie, situazioni e sentimenti diversi. Ragazzi che si saranno ripetuti allo sfinimento nella loro testa "sono solo sei mesi".
C'è il tenente Egitto, ufficiale medico, ortopedico, che partendo spera di allontanarsi dal dolore per quella famiglia ormai spezzata anni prima, che cerca di fare i conti con le sue paure a suon di psicofarmaci e che sente addosso tutta la mediocrità della sua vita da secondogenito.
C'è Ietri, che lascia una mamma già vedova, alla quale è molto legato, suo malgrado, e che parte quasi inconsapevole di ciò che lo aspetta, ma con un borsone pieno di aspettative e preservativi. Non vuole più essere "la verginella" e spera che da quella missione tornerà diverso.
C'è il maresciallo René, a capo della squadra, che parte con il macigno di dover prendere una decisione, con il peso di dover decidere della vita di un'altra persona, suo figlio, portato in grembo quasi per miracolo da Rosanna. Dilaniato dai sensi di colpa per una decisione che crede di aver preso e dalla responsabilità delle vite di quei ragazzi.
C'è Torsu, lo sfigato, quello costretto a letto dalla dissenteria e dalla febbre, il sardo che passa il tempo chattando con Tersicore89, la ragazza che non ha mai visto e verso la quale prova un interesse sempre maggiore.
C'è il caporalmaggiore scelto Cederna, uno dei personaggi che ho odiato di più nella mia vita da lettrice. Lui è l'egocentrico, l'egoista, colui che crede di essere Rambo e si atteggia e si equipaggia come tale. Colui che possiede le cose e le persone, compreso Ietri, con il quale instaura un rapporto di quasi asservimento, e Agnese, la sua fidanzata.
C'è il caporalmaggiore Mitrano, vittima costante delle angherie disumane di Cederna.
C'è Zampieri, con i suoi ricci biondi ed il seno prorompente, di cui Ietri si invaghisce sin dalla prima guardia insieme. Viene indicata come "la lesbica" perchè è un soldato e perchè secondo Cederna è brutta, nonostante le tette.
C'è il caporalmaggiore Camporesi, sposato e con un bimbo, Gabriele, che mostra evidenti problemi comportamentali per l'assenza del padre. Salvo è innamoratissimo di sua moglie e non perde occasione per dirglielo, nonostante lei soffra terribilmente per la sua lontananza e non perde occasione per rinfacciarglielo.
E poi c'è Di Salvo, che vede l'Afghanistan come un'enorme distesa di erba pura, con la quale si sballa fino alla perdita dei sensi.
Giordano traccia abilmente il ritratto di questi ragazzi, mostrandoli per come sono con pregi e difetti, descrivendoli nella straordinaria quotidianità di una missione che li cambierà per sempre, in bene e in male.
Mi è piaciuto molto come l'autore utilizzi un linguaggio tecnico e specifico senza far sentire il lettore impreparato o fuori luogo, senza mai cadere in un eccessivo "militarese" (io poi ero avvantaggiata in realtà, considerando che quando non sapevo cosa fosse una cosa, lo chedevo al mio fidanzato).
Nonostante non mi è sembrato che Giordano abbia voluto rincarare la dose, rendendo gli eventi narrati peggiori di quello che nella realtà possano essere, leggere questa storia mi ha provocato un profondo turbamento ed una sofferenza non indifferente.
Ho vissuto il dolore del distacco nel 2006, per poco, per fortuna; so cosa vuol dire slacciare le braccia da quel corpo e circondare il proprio nella speranza di vederlo ritornare. Giornate passate con la televisione accesa 24 ore su 24, nell'attesa dell'ora della telefonata o dell'ora di msn, in cui se la rete ci accompagnava, potevo vedere per pochi secondi il volto del mio fidanzato. L'insoddisfazione e la frustrazione di non potere avere notizie precise, di non sapere i reali spostamenti e di non conoscere l'effettivo pericolo. Domande che si limitavano a "come stai?", "hai mangiato?" e nella testa centinaia e centinai di punti interrogativi che rimanevano inespressi.
Leggere "Il corpo umano" mi ha fatto oltrepassare la linea e mi ha fatta ritrovare "dall'altra parte", senza preavviso, senza preparazione, disarmata. Ho camminato incerta e appesantita come un Lince su una distesa di sabbia che cela un campo minato.
Lacrime vere e lacrime di circostanza, famiglie distrutte, tricolore tetro sul mogano lucido, inno che risuona come una marcia funebre, medaglie mai appuntate, parole piene di nulla, comprensione inutile e cuori muti, spenti da rombi assordanti.
Consiglio questo libro a tutti, ma lo consiglio soprattutto a coloro che spesso chiamano questi ragazzi "mercenari" e che vedono nelle loro partenze solo un modo "facile" per guadagnare. Lo consiglio a chi dice "sapevano che sarebbero potuti morire" e non si rendono conto che sì, muoiono veramente e se non muoiono l'unica rendita sicura è il dolore, la paura, il sapore della sabbia.
Recensione presente anche sul blog BooksLand, ne "L'angolo di Miki".

Descrizione del libro (da Amazon)

Data di uscita: 12 ottobre 2012
È un plotone di giovani ragazzi quello comandato dal maresciallo Antonio René. L'ultimo arrivato, il caporalmaggiore Roberto Ietri, ha appena vent'anni e si sente inesperto in tutto. Per lui, come per molti altri, la missione in Afghanistan è la prima grande prova della vita. Al momento di partire, i protagonisti non sanno ancora che il luogo a cui verranno destinati è uno dei più pericolosi di tutta l'area del conflitto: la forward operating base (fob) Ice, nel distretto del Gulistan, "un recinto di sabbia esposto alle avversità", dove non c'è niente, soltanto polvere, dove la luce del giorno è così forte da provocare la congiuntivite e la notte non si possono accendere le luci per non attirare i colpi di mortaio. Ad attenderli laggiù, c'è il tenente medico Alessandro Egitto. È rimasto in Afghanistan, all'interno di quella precaria "bolla di sicurezza", di sua volontà, per sfuggire a una situazione privata che considera più pericolosa della guerra combattuta con le armi da fuoco. Sfiniti dal caldo, dalla noia e dal timore per una minaccia che appare ogni giorno più irreale, i soldati ricostruiscono dentro la fob la vita che conoscono, approfondiscono le amicizie e i contrasti. In un romanzo corale, che alterna spensieratezza e dramma, Giordano delinea con precisione i contorni delle "nuove guerre". E, nel farlo, ci svela l'esistenza di altri conflitti, ancora più sfuggenti ma non meno insidiosi: quelli familiari, quelli affettivi e quelli sanguinosi e interminabili contro se stessi.

L'autore


Paolo Giordano è nato a Torino nel 1982. Con il suo primo romanzo, La solitudine dei numeri primi (2008), pubblicato in oltre quaranta paesi, ha ottenuto numerosi riconoscimenti, fra cui il Premio Strega e il Premio Campiello Opera Prima. Collabora con il “Corriere della Sera” e “Vanity Fair”.


Dettagli prodotto


  • Rilegato: 309 pagine
  • Editore: Mondadori (12 ottobre 2012)
  • Collana: Scrittori italiani e stranieri
  • Lingua: Italiano
  • ISBN-10: 8804616253
  • ISBN-13: 978-8804616252
Prezzo: 19,00€
Prezzo Amazon: 16,15€ (ebook: 9,99) 
Avete letto questo libro? Vi è piaciuto? Pensate di leggerlo?
Alla prossima,

 

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