L'Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico-Legale di Federsupporter, inquadra il licenziamento dell'allenatore della Lazio Petkovic
L’art 1, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva (CGS) della FIGC stabilisce che: “Le società, i dirigenti, gli atleti, i tecnici, gli ufficiali di gara ed ogni altro soggetto che svolge attività di carattere agonistico, tecnico, organizzativo, decisionale o comunque rilevante per l’ordinamento federale, sono tenuti all’osservanza delle norme e degli atti federali e devono comportarsi secondo i principi di lealtà, correttezza e probità in ogni rapporto comunque riferibile all’attività sportiva”.
Il comma 6 prevede che, in caso di violazione degli obblighi di cui sopra, si applica una serie di sanzioni, graduate secondo il numero e l’entità delle infrazioni, che vanno dall’ammonizione, all’ammenda, all’ammenda con diffida, alla penalizzazione di uno o più punti in classifica, alla squalifica per una o più giornate di gara, alla squalifica a tempo determinato, al divieto di accedere agli impianti sportivi, alla inibizione temporanea a svolgere ogni attività in seno alla FIGC, con eventuale estensione in ambito UEFA e FIFA.
Ciò per quanto attiene agli obblighi e, in caso di violazione di questi ultimi, alle conseguenti sanzioni disciplinari.
La legge 23 marzo 1981, n.91, “Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”, all’art. 2, ai fini dell’applicazione della legge, qualifica come sportivi professionisti “gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi ed i preparatori atletici che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità”.
All’art.4 (Disciplina del lavoro subordinato) si prevede che: ”Il rapporto di prestazione sportiva a titolo oneroso si costituisce mediante assunzione diretta e con la stipulazione di un contratto in forma scritta, a pena di nullità, tra lo sportivo e la società destinataria delle prestazioni sportive, secondo il contratto tipo predisposto, conformemente all’accordo stipulato ogni tre anni dalla federazione sportiva nazionale e dai rappresentanti delle categorie interessate”.
In attuazione del suddetto disposto di legge, tra gli allenatori di calcio professionisti, rappresentati dalla AIAC ( Associazione Italiana Allenatori di Calcio), la FIGC e le Leghe Calcio Nazionali Professionisti, era stato stipulato un Accordo collettivo predisponente il contratto tipo che disciplina il rapporto tra i primi e le società facenti parte delle predette Leghe.
Per quello che qui interessa la fattispecie in esame, è opportuno focalizzarsi sul rapporto tra l’allenatore Petkovic e la SS Lazio, richiamando, di seguito, alcune norme del suddetto contratto tipo.
Nel caso di esonero dell’allenatore nel corso della stagione sportiva, quest’ultimo potrà risolvere il contratto che lo lega alla società al termine della stagione stessa, con obbligo per la società di corrispondergli gli emolumenti spettanti fino allo spirare di tale termine.
L’esonero in corso di stagione non risolve il contratto in essere: risoluzione che viene riconosciuta come facoltà unilaterale dell’allenatore esonerato, esercitabile, come detto, al termine della stagione stessa.
La società, pertanto, ha l’obbligo di rispettare il contratto nei confronti dell’allenatore esonerato in corso di stagione, fino alla naturale scadenza contrattuale, a meno che, come sopra rilevato, l’allenatore non decida di risolvere il rapporto al termine della stagione in corso.
In altre parole, l’allenatore esonerato rimane pur sempre a disposizione della società che può nel corso della stagione in cui lo abbia esonerato, richiamarlo, come talvolta è avvenuto ed avviene, a svolgere le sue prestazioni.
Naturalmente, come pure già rilevato, la permanenza del rapporto contrattuale con l’allenatore esonerato comporta per la società l’obbligo di corrispondergli, finchè il rapporto permane fino alla naturale scadenza,quanto ad egli dovuto.
Diverso dall’esonero è il caso del licenziamento dell’allenatore per una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del contratto (giusta causa), ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 C.C.
Giusta causa che può essere ravvisata in qualsiasi evento o serie di eventi in grado di compromettere, in modo serio e definitivo, il rapporto fiduciario che deve intercorrere tra datore di lavoro e prestatore d’opera e l’interesse del primo alle prestazioni del secondo.
A proposito di giusta causa, può essere interessante ricordare che essa è stata considerata sussistente per il protrarsi dei risultati negativi di una squadra di calcio, tale da far venire meno la fiducia della dirigenza societaria nel direttore tecnico-sportivo (cfr. Cassazione, 28 dicembre 1996, n. 11540).
Il contratto tipo fra società ed allenatori impone a questi ultimi, tra l’altro, di mantenere una condotta conforme ai principi di lealtà, probità e correttezza di cui al già citato art. 1, comma 1, del CGS e, fra le sanzioni per violazione di tali doveri, contempla la risoluzione del contratto.
La risoluzione per grave e constatata inadempienza contrattuale, però, in base all’Accordo collettivo in questione, non può essere adottata direttamente dalla società, dovendo quest’ultima avanzare ad un apposito Collegio Arbitrale un motivato ricorso per la declaratoria di risoluzione contrattuale con relativo risarcimento danni, entro 10 giorni dalla data in cui sia stata constatata la grave inadempienza contrattuale.
L’allenatore, a propria volta, ha il diritto di far pervenire al Collegio, entro 10 giorni dal ricevimento della copia del ricorso della società, le sue controdeduzioni.
L’eventuale declaratoria di risoluzione del contratto da parte del Collegio comporta la cessazione del pagamento di qualsiasi compenso per il periodo successivo alla data della risoluzione stessa.
E’ da tenere presente che, dopo la scissione della Lega Nazionale Professionisti in Lega Nazionale Professionisti di Serie A e Lega Nazionale Professionisti di Serie B, manca tuttora per la Serie A un nuovo Accordo collettivo concernente gli allenatori, mentre il 21 dicembre 2011 è stato sottoscritto un nuovo Accordo per gli allenatori di Serie B.
L’Accordo collettivo per gli allenatori di Serie A è entrato in vigore dal 1 luglio 1990 e si è tacitamente rinnovato sino al 30 giugno 2008 ed è stato prorogato, con successivi accordi, sino al 30 giugno 2009.
In tale Accordo collettivo l’art. 30 prevede che: “La risoluzione di tutte le controversie concernenti l’attuazione del contratto o comunque il rapporto tra società ed allenatore, sarà deferita ad un Collegio Arbitrale, composto da tre membri, di cui 2 designati, di volta in volta, rispettivamente dalla società e dall’allenatore, tra le persone indicate negli elenchi depositati presso la FIGC dalle competenti Leghe e dalla AIAC secondo le disposizioni delle Carte Federali. Il Presidente sarà designato son la procedura di cui al Regolamento per il funzionamento del Collegio Arbitrale, fra le persone inserite in altro elenco depositato presso la FIGC, preventivamente concordato dalle parti firmatarie del presente Accordo.”
Poiché, a seguito delle intervenute proroghe dell’Accordo collettivo scaduto, sono rimasti privi di efficacia gli elenchi dei componenti dei Collegi Arbitrali previsti dal suddetto Accordo scaduto, le liti insorgende dovrebbero intendersi attualmente devolute e decise da parte di Collegi Arbitrali composti da tre membri, di cui due nominati, uno ciascuno, dalla società e dall’allenatore, senza alcun vincolo di lista, ed il terzo, con funzioni di Presidente, nominato d’intesa tra i due membri nominati dalle parti o, in difetto, d’intesa tra i Presidenti della Lega di Serie A e l’AIAC.
Per quello che concerne le situazioni che si determinano nei rapporti tra società e sportivi professionisti in conseguenza di Accordi Collettivi scaduti e non ancora rinnovati, è necessario fare riferimento ai principi di cui al parere emesso il 29-30 luglio 2010 dall’Alta Corte di Giustizia del CONI, su richiesta della FIGC, in materia di Accordi Collettivi, in quel caso per i calciatori, ma che valgono senz’altro anche per gli allenatori.
Nel richiamato parere l’Alta Corte ha stabilito che: ”La scissione con la creazione di due nuovi organismi rappresentativi di una categoria non determina, di per sé, l’inapplicabilità degli obblighi assunti in Accordo precedentemente sottoscritto e richiamati nei contratti individuali di riferimento”.
Ha stabilito, altresì, che l’ultrattività di contratti collettivi, oltre la naturale scadenza, può avvenire, oltre che per una clausola espressa in tale senso, anche per “ facta concludentia”: vale a dire, per comportamento spontaneo delle parti contrattuali.
Circa, poi, i contratti individuali, questi continuano ad avere i loro effetti fino alla naturale scadenza contrattuale, compresi i richiami alla contrattazione collettiva operante al momento della stipula, o, se stipulati nelle more del rinnovo di Accordi collettivi scaduti e non ancora rinnovati, continuano ad avere i medesimi effetti e per la durata di cui sopra, qualora contengano un espresso riferimento ai suddetti Accordi collettivi ed utilizzino il precedente modulo di contratto tipo di prestazione sportiva.
Quanto al Collegio Arbitrale, l’Accordo collettivo stipulato dalla FIGC, dalla Lega Calcio di Serie B e dall’AIAC il 21 dicembre 2011, tra le “Norme transitorie e finali”, prevede che: “Tutte le controversie il cui ricorso sia stato notificato prima della data di entrata in vigore del presente Accordo e rispetto al quale il CA ( Collegio Arbitrale ndr) non sia costituito, saranno definite, previa sottoscrizione del relativo accordo compromissorio, dal CA secondo le norme di procedura previste dal presente Accordo, con rimessione in termini delle parti al fine della costituzione ex novo del CA”.
Nel momento in cui scrivo queste note, non essendo ancora stato stipulato un analogo Accordo collettivo tra FIGC, Lega Calcio di Serie A ed AIAC , non è possibile stabilire se una disposizione transitoria e finale , analoga a quella di cui sopra, verrà, oppure no, prevista in tale Accordo, quando esso sarà stato sottoscritto.
Nelle more, per quanto rilevato in precedenza, dovrebbero continuare a trovare applicazione i contratti tipo individuali, secondo il modello previsto dagli Accordi collettivi scaduti: contratti individuali che, qualora contengano un espresso riferimento al Collegio Arbitrale di cui al predetto Accordo collettivo scaduto, pur non potendosi utilizzare, per la costituzione del Collegio, i nominativi di cui alle liste depositate presso la FIGC, il Collegio potrà essere comunque costituito, mediante due arbitri nominati ,uno ciascuno, dalla società e dall’allenatore, senza alcun vincolo di lista, ed il terzo, con funzioni di Presidente, nominato d’intesa tra i predetti due membri o, in difetto, d’intesa tra i Presidenti della Lega Calcio di Serie A e dell’AIAC.
Nel caso in cui, per qualsivoglia motivo, si dovesse ritenere non costituibile il Collegio Arbitrale secondo i criteri sopra esposti – ma, a mio avviso, questa ipotesi, nella fattispecie, sarebbe da escludersi, non resterebbe che devolvere la controversia alla competente Autorità Giudiziaria (Giudice del Lavoro), con l’obbligo di preventiva contestazione degli addebiti, con concessione del termine di 5 giorni per fornire elementi a difesa,eventualmente con l’assistenza del proprio Sindacato, nonché con la possibilità di esperire il tentativo di conciliazione, anche per il tramite dell’Associazione sindacale alla quale il lavoratore che intenda impugnare giudizialmente il licenziamento aderisca o conferisca mandato.
In ordine alla persistenza di una mancata proroga o del rinnovo dell’Accordo collettivo scaduto, sempre l’Alta Corte, nel parere richiamato, ha avuto modo di evidenziare: “Di conseguenza la Federazione sportiva nazionale, nella specie la FIGC, come organismo sovraordinato nel settore, nell’ambito dell’ordinamento sportivo e rispetto ai soggetti rappresentanti delle categorie interessate e nello stesso tempo soggetto interventore per legge negli accordi da stipularsi tra leghe e le altre categorie, può prendere tutte le iniziative intese a coadiuvare, da un canto il raggiungimento di una intesa atta a porre in essere un nuovo Accordo, a cominciare da una convocazione urgente di un incontro tra le parti interessate, separatamente in relazione all’attuale situazione delle Leghe. ….. ( omissis)… La Federazione dovrà esaminare l’opportunità di una formale diffida alle parti riluttanti ad un accordo, compreso un’eventuale intesa provvisoria per regolare la disciplina transitoria applicabile nella redazione di nuovi contratti….( omissis)….Potrà essere esaminata dalla FIGC la possibilità – in ipotesi limite ove ne sussistano tutti i presupposti- di nomina di commissario ad acta con intervento sostitutivo temporaneo per raggiungere un nuovo accordo o anche un primo accordo transitorio in caso di acuirsi di un conflitto tra le parti”.
Ciò premesso, viene da chiedersi perché e come mai la FIGC, stante la persistenza del mancato rinnovo dell’Accordo collettivo per gli allenatori di Serie A (sin dal 30 giugno 2009), non abbia finora utilizzato gli strumenti di intervento specificati dall’Alta Corte di Giustizia del CONI.
Una volta delineato il possibile iter procedimentale relativo al licenziamento dell’allenatore, vengo ora al merito del caso di specie in oggetto.
A quel che sembra, la Lazio procederebbe al licenziamento per giusta causa dell’allenatore Petkcovic, non solo e non tanto per il protrarsi dei risultati negativi della squadra, bensì perché sarebbe venuto meno a quei doveri di lealtà e correttezza nei confronti della Società, impostigli dal contratto che lo lega – legava – a quest’ultima, nonché all’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro ai sensi dell’art. 2105 C.C.
Obbligo di fedeltà che si estrinseca essenzialmente in comportamenti improntati a regole di correttezza, buona fede, schiettezza, lealtà, senso di solidarietà e fiducia verso il datore di lavoro.
Fedeltà e, quindi, lealtà e correttezza che, secondo la Lazio, sarebbero venute meno, avendo l’allenatore Petkovic stipulato, nei giorni scorsi, con decorrenza luglio 2014, un accordo con la Federazione Calcistica svizzera per allenare la Nazionale di calcio di quel Paese: accordo sottoscritto ben prima della scadenza naturale (30 giungo 2014) del contratto in essere con la Società e, in particolare, non avendo messo al corrente la Società stessa delle trattative intercorse con la predetta Federazione e, anzi, avendole sempre negate e smentite.
Naturalmente i fatti, nella loro effettiva realtà, dovranno essere accertati, nel contraddittorio tra le parti, in sede arbitrale o in sede giudiziaria.
A titolo di puro orientamento scolastico, alla luce di una giurisprudenza di legittimità che si è andata sempre di più consolidando, osservo come abbia assunto crescente rilievo il principio dell’abuso di diritto, quale principio generale civilistico.
L’abuso in questione può consistere nell’esercizio di un diritto con modalità censurabili secondo criteri di valutazione giuridici ed extragiuridici, tali da comportare una sperequazione ingiustificata tra il beneficio ricevibile dal titolare del diritto ed il sacrifico cui resta soggetta la controparte.
In altre parole, l’abuso è riscontrabile quando il collegamento tra il potere di autonomia del soggetto ed il suo atto di esercizio alterino la funzione obiettiva dell’atto stesso rispetto al potere che lo prevede.
In questo caso devono ritenersi violati i doveri di correttezza (Art. 1175 C.C.) e buona fede (Art 1375 C.C.) che vanno osservati nell’esecuzione del contratto, nei rapporti reciproci, nel senso di imporre il rispetto degli equilibri e degli interessi di cui le parti stesse sono portatrici.
Gli obblighi di correttezza e di buona fede oggettiva, quest’ultima da intendersi come comportamento leale da apprezzarsi secondo la media coscienza sociale, costituiscono, secondo la Corte di Cassazione (cfr. ex plurimis, la sentenza n. 3462 del 15 febbraio 2007), principi di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione deve intendersi ormai pacifica, quale specificazione di quegli inderogabili doveri di solidarietà sociale di cui all’art. 2 della Costituzione.
In sintesi, essere titolari di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio, dovendo tale esercizio incidere su tutti gli interessi contemplati in maniera equilibrata e proporzionata.
Ne consegue, volendo calare il divieto di abuso di potere nel caso concreto in esame, che, pur potendo l’allenatore Petkcovic, del tutto legittimamente, esercitare il diritto ed il potere di stipulare un contratto, decorrente dal luglio 2014, per allenare la Nazionale di calcio svizzera, tuttavia, occorre anche verificare che l’esercizio di quel legittimo diritto e potere sia avvenuto nel rispetto di quei principi e doveri di fedeltà, correttezza e di buona fede oggettiva sopra enunciati, senza, quindi, aver arrecato alla Lazio un sacrifico degli interessi di quest’ultima in maniera squilibrata e sproporzionata rispetto al predetto esercizio.
Nei confronti della Federazione calcistica svizzera la Lazio potrebbe, inoltre, sempre con l’avvertenza che si tratta di una ipotesi di scuola, chiedere il risarcimento dei danni per una pretesa attività di concorrenza sleale (Art. 2598, 2°comma, C.C.) sotto forma di storno illecito del proprio allenatore, anche se tale scorrettezza sarebbe, a mio parere, molto difficile da provare, essendo state le trattative che hanno portato alla stipula del contratto con la predetta Federazione svolte in un periodo non vietato dall’ordinamento sportivo.
Per gli allenatori, infatti, diversamente che per i calciatori sotto contratto, tale ordinamento non prevede un analogo periodo in cui dette trattative non sono permesse.
E’ opportuno rilevare che un licenziamento intimato per giusta causa e, come nella fattispecie, per comportamenti sleali, scorretti, infedeli, ove ritenuto non sorretto da tale causa, esporrebbe il datore di lavoro all’accoglimento di una eventuale richiesta, in via riconvenzionale, del lavoratore di risarcimento dei danni derivanti da quello che, nel gergo tecnico-giuridico, si definisce “licenziamento ingiurioso”, in quanto lesivo della dignità ed onorabilità del lavoratore stesso.