L’arrivo del connettore Lightning sui device iOS è stato accompagnato da fitte polemiche. Il sostituto del cavo dock, infatti, non solo impedisce di utilizzare i vecchi accessori con i nuovi iPhone 5, iPad e iMac, ma costringe i produttori di terze parti a sottostare a regole ferree imposte da Cupertino. Ed ecco perché il mercato degli accessori Lightning proceda a rilento. Ma c’è evidentemente di più: la nuova filosofia dell’iper-controllo voluta da Apple costringe le startup a chiudere.

«Quando Apple ha annunciato Lightning, abbiamo pensato che fosse giusto incorporare nel nostro prodotto due di questi connettori, affiancati da due cavi dock da 30 pin e da una Micro USB. Dopo esserci registrati con Apple (un requisito per Lightning), abbiamo appreso come l’azienda non voglia approvare un prodotto che venda Lightning accompagnato da altri caricatori, compreso il loro dock da 30 pin. Così facendo, POP non può più mantenere le sue promesse e il progetto è costretto a chiudere.
Questa la spiegazione di Jamie Siminoff, il CEO di Edison JR, il quale racconta con rammarico altri episodi del rapporto con Apple. La scoperta dell’impossibilità di ottenere una licenza Lightning non sarebbe affatto avvenuta negli immediati momenti successivi alla registrazione con l’azienda, bensì dopo un periodo di tira e molla. Un periodo in cui i creatori di POP hanno dovuto investire dei capitali a vuoto, senza la possibilità di trarne una qualsiasi forma di guadagno. E così il CEO sentenzia senza mezzi termini:
«Siamo incavolati! Credo siano un branco di ca***ni e credo stiano ferendo i loro clienti.»
È certamente lecito sottolineare come Apple debba proteggere le proprie innovazioni, non concedendo licenze di utilizzo a chicchessia. Ma certe regole appaiono assurde: perché mai impedire la convivenza tra Lightning e il normale connettore dock? Perché condannare un progetto in grado di raccogliere più del doppio in investimenti rispetto a quanti realmente richiesti, segno di come il mercato ne abbia promosso gli intenti?