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Il limite dell’ordinamento giuridico

Creato il 14 dicembre 2013 da Dialogosiuris

La locuzione “ordinamento giuridico” è senza dubbio ambigua. L’ordinamento giuridico è un luogo di relazione personale e quindi anche giuridica, ricco della propria apertura partecipativa all’essere, alla verità, al logos, inteso nella molteplicità delle sue plurali interpretazioni, e alla persona, non intesa come monade sotto un velo di ignoranza, secondo le teorie pure del neocontrattualialismo, ma di una persona che si interroga sul proprio essere e che vive la realtà, quale dinamica concreta entro la quale entrare in relazione con l’Essere stesso e con l’altro da sé. Bisogna concordare con le parole di Sergio Cotta quando afferma che senza la comprensione dell’essere dell’uomo, non si renderà mai piena ragione della realtà e del senso del diritto; allo stesso tempo, però, non è possibile dimenticare che senza una piena comprensione ontologica della realtà è difficile rendere credibile qualunque teorizzazione astratta del dover essere dell’uomo. Una prospettiva rispettosa dell’apertura ontologica dell’uomo, offre ragione della giuridicità dell’ordinamento con la sua finalità di garantire e custodire l’essere relazionale della persona, la sua libertà e il suo agire libero. Si tratta, dunque, di interrogarsi sul fondamento veritativo dell’ordinamento giuridico.

In una società che è di per sé pluralistica, e che per garantire tale pluralismo deve continuare ad affermare la necessaria convergenza su quanto vi è di essenziale, l’ordinamento giuridico, con la sua legittimazione e i suoi limiti, cioè con la sua capacità di ricambiare in maniera aperta, libera e dinamica il confronto con la società, senza volontà di egemonia o di privilegio, rappresenta un luogo di mediazione imprescindibile per il vivere in societate, all’interno di un orizzonte comprensivo ma non esaustivo del giuridico.

Il primo fattore di unificazione organica di un ordinamento giuridico è dunque quello della logica quale opposizione al ragionare unilaterale. La coerenza di un ordinamento non è nella forza autoritativa delle singole disposizioni di legge che in esso trovano spazio, ma nella logica, intendendo quella premessa unitaria di stabilità e perpetuità che non si irrigidisce nella forma, ma si rinnova costantemente.

L’ordinamento giuridico sacrifica la propria potenzialità di novità e la propria capacità arricchente ogni qual volta esso riconosce a proprio fondamento il nomos, la legge, che secondo l’accezione greca delimita e perimetra. Il nomos è, in un certo senso, una forma di conoscenza che si approssima molto al divino nel distinguere il bene dal male. Su questa premessa, il nomos può diventare diabolico quando, proprio per questo suo carattere divino è usato come strumento per tagliare i legami con il logos, divenendo legge nella concretezza della storia dell’esistenza; esso è diabolico quando costringe l’uomo, quando lo perimetra entro confini specifici e crea divisione. É questo il carattere demoniaco della legge che condanna l’ordinamento. La prescrizione giuridicamente vincolante, per quanto anche utile e necessaria, non può perimetrare il mistero della storia e il mistero della persona; al contrario, primario compito della legge è richiamare costantemente al fondamento dell’ordinamento stesso, alla sua plurale e relazionale istanza di bene, quasi che il tempo giuridico di un ordinamento accadesse sempre nuovo nel momento della promulgazione della nuova legge.

Il tempo dell’ordinamento supera i singoli momenti normativi e trova la sua scansione nel relazionarsi alla verità. In questo senso, la norma si collega al dato originario della realtà attraverso una pluralità di approcci nel rispetto delle personali e autonome prospettive, in uno sforzo teso a mettere insieme l’unità e la molteplicità; l’unità della verità e la molteplicità delle sue diverse interpretazioni personali; il momento teleologico della vita buona e il momento deontologico del dover essere; l’unità della societas e la pluralità delle prospettive e delle scelte sociale e politiche che in essa si articolano e prendono corpo, per costituire istituzioni giuste entro le quali vivere una vita buona.

Nella misura in cui il carattere normativo dell’ordinamento giuridico è ponte relazionale di tipo ontologico tra la verità e la molteplicità delle sue diverse interpretazioni storiche nell’immanenza della realtà, l’ordinamento giuridico stesso, veritativamente orientato, non può avere limiti dal momento che la ricchezza della verità è inesauribile quando a essa ci si relazione in modo dialettico e libero. Di contro, i limiti derivano ad esso dalle patologie di una interpretazione ideologica della persona e della storia e che dell’ordinamento fa un recinto separatore.

Occorre sempre ricordare che è l’uomo, nel suo relazionarsi con se stesso e con gli altri da sé, che interpreta in maniera sempre nuova la verità per superare l’emergenza del presente e proiettarsi al futuro e attraverso un uso ampio della ragione, da forma alla realtà entro la quale vive, «la accoglie, la nomina, la descrive, ne evidenzia le varie dimensioni e i vari aspetti, e insieme la plasma e la trasforma. […] Ma al tempo stesso si pone la domanda sulla verità e il senso di ciò che ha conosciuto e fatto: in definitiva, la domanda sulla verità e sul senso di ciò che è» (P. Coda, Introduzione, in P. Coda, La questione ontologica tra scienza e fede, Quaderni Sefir n. 6, Lateran University Press, Roma, 2004, 17).

A. Iaccarino, Legittimazione degli ordinamenti giuridici tra mito e utopia, in G.L. Falchi – A. Iaccarino, Legittimazione e limiti degli ordinamenti giuridici, 2012.



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