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Il linguaggio dei gesti nel romanzo dei Malvoglia

Creato il 30 aprile 2013 da Pamelaserafino

Il linguaggio dei gesti nel romanzo dei MalvogliaLa lingua che Verga utilizza nella narrazione dei romanzi del ciclo dei vinti è la risultante d'un movimento stilistico estremamente complesso, in cui la lingua letteraria tiene conto della carica espressiva del dialetto, utilizzando una sintassi "peculiarmente verghiana" ossia una sua personalissima invenzione.
Di seguito proponiamo l'analisi linguistica di un brano tratto dal romanzo dei Malavoglia che descrive il momento in cui la Longa, moglie di Bastianazzo e nuora di padron Ntoni, apprende della morte del marito e della conseguente disgrazia che si abbatte sulla famiglia, accentuata dalla perdita di tutti i pochi averi della famiglia.

"Sull'imbrunire comare Maruzza coi suoi figliuoletti era andata ad aspettare sulla sciara, d'onde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla. La piccina piangeva, e quei poveretti, dimenticati sulla sciara, a quell'ora, parevano le anime del purgatorio. Il piangere della bambina le faceva male allo stomaco, alla povera donna le sembrava quasi un malaugurio; non sapeva che inventare per tranquillarla, e le cantava le canzonette colla voce tremola che sapeva di lagrime anche essa.
Le comari, mentre tornavano dall'osteria, coll'orciolino dell'olio, o col fiaschetto del vino, si fermavano a barattare qualche parola con la Longa senza aver l'aria di nulla, e qualche amico di suo marito Bastianazzo, compar Cipolla, per esempio, o compare Mangiacarrubbe, passando dalla sciara per dare un'occhiata verso il mare, e vedere di che umore si addormentasse il vecchio brontolone, andavano a domandare a comare la Longa di suo marito, e stavano un tantino a farle compagnia, fumandole in silenzio la pipa sotto il naso, o parlando sottovoce fra di loro. La poveretta, sgomenta da quelle attenzioni insolite, li guardava in faccia sbigottita, e si stringeva al petto la bimba, come se volessero rubargliela. Finalmente il più duro o il più compassionevole la prese per un braccio e la condusse a casa. Ella si lasciava condurre, e badava a ripetere: - Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria! - I figliuoli la seguivano aggrappandosi alla gonnella, quasi avessero paura che rubassero qualcosa anche a loro. Mentre passavano dinanzi all'osteria, tutti gli avventori si affacciarono sulla porta, in mezzo al gran fumo, e tacquero per vederla passare come fosse già una cosa curiosa.
- Requiem eternam, biascicava sottovoce lo zio Santoro, quel povero Bastianazzo mi faceva sempre la carità, quando padron 'Ntoni gli lasciava qualche soldo in tasca.
La poveretta, che non sapeva di essere vedova, balbettava: - Oh! Vergine Maria! Oh! Vergine Maria!
Dinanzi al ballatoio della sua casa c'era un gruppo di vicine che l'aspettavano, e cicalavano a voce bassa fra di loro. Come la videro da lontano, comare Piedipapera e la cugina Anna le vennero incontro, colle mani sul ventre, senza dir nulla. Allora ella si cacciò le unghie nei capelli con uno strido disperato e corse a rintanarsi in casa.
- Che disgrazia! dicevano sulla via. E la barca era carica! Più di quarant'onze di lupini!"

Nella cultura di Aci Trezza, il piccolo paese siciliano in cui è ambientata la vicenda, le parole non hanno la funzione di esternare i sentimenti: esse vengono usate in modo semplificato e funzionale alle esigenze pratiche della vita, mentre la comunicazione profonda delle emozioni si avvale di un linguaggio più immediato, quello dei gesti. Perciò, di fronte al dramma i personaggi verghiani non dicono una parola se non in termini rituali: " oh Vergine Maria" ripete Maruzza, "Requiem eternam", biascica lo zio Santoro. Ma i gesti comunicano tutto ciò che le parole non dicono e il loro significato risulta immediatamente comprensibile perché risponde ad abitudini culturali e sociali ataviche. Così sono i gesti degli uomini che l'accompagnano a casa a mettere in sospetto la Longa, che, comprende immediatamente la tragedia che l'ha colpita quando scorge le donne venirle incontro con le mani sul ventre in segno di cordoglio.
Dal punto di vista linguistico l'episodio si può suddividere in due parti. Nella prima parte, di carattere essenzialmente descrittivo, prevale un lessico carico di allusioni emotive, come evidenziano i vezzeggiativi "piccina", "orciolo", "fiaschetto", che hanno la funzione di sottolineare la fragilità dei protagonisti di fronte al destino. Nella seconda parte la narrazione invece si fa essenziale perché la comunicazione passa attraverso i gesti. La parole rituali, infatti, mutuate dal linguaggio religioso, servono ad introdurre solo brevi dialoghi.

Il linguaggio dei gesti nel romanzo dei Malvoglia

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