Quello che sto per dire non è una novità, ma penso sia sempre bene ribadirle, certe cose. Quando inizio i miei incontri sulla fotografia, o introduco i miei corsi, mi piace ricordare che la fotografia è, al di là di ogni altra cosa, principalmente una forma di linguaggio. Il "grafitaro" (anzi, l'imbecille) che scrive sul muro "piccola ti amo" o "Maria sei tutta la mia vita", utilizza esattamente gli stessi strumenti che servirono a Dante Alighieri (iddio mi perdoni!) per metter giù la Divina Commedia. Cioé le parole. Le parole, le frasi e tutta la grammatica che ci fanno studiare (tediosamente) a scuola, possono servire ad imbrattare i muri, scrivere messaggini sul telefonino (quelle cose incomprensibili con tante k e innumerevoli tvtb), redigere un verbale per una multa (ahinoi!), scrivere una poesia, un romanzo o un capolavoro della letteratura. Dunque saper gestire le parole ci mette di fronte a innumerevoli possibilità, ma sta poi a noi diventare un novello Dante o un cretino che lancia messaggi alla fidanzata dai muri della città. In cosa consiste, per davvero, la differenza tra le due forme, diciamo così, di comunicazione (fermo restando che entrambe le cose comunque comunicano)? Ovviamente nel messaggio stesso, e nella sua universalità. La frase scritta sul muro al massimo può voler dire qualcosa per un ristrettissimo numero di persone, che vi si riconoscono (pensiamo anche alle frasi inneggianti partiti o movimenti politici o squadre di calcio), mentre la grande opera letteraria attraversa i secoli e dona emozioni profonde a centinaia di migliaia, potenzialmente milioni di persone. Bene. Anche la fotografia è un linguaggio: al posto delle parole, si utilizzano le immagini. Una fototessera, una foto di catalogo, la riproduzione fotografica di un documento, la foto legale di un incidente stradale, la foto ricordo delle nostre ultime vacanze o "Clearing Winter Storm" e "Moon over Hernandez" di Ansel Adams o il "peperone" di Weston, sono tutte immagini create grazie alla fotografia. Ma mentre le ultime sono come la "Divina Commedia", immagini fatte per durare nel tempo, per essere apprezzate e amate da innumerevoli amanti dell'arte e riconosciute all'istante quando vengono esposte nelle mostre, le prime non durano che il tempo del loro utilizzo, poi svaniscono nel nulla. Si scattano miliardi di foto ogni anno, ma solo poche centinaia divengono fotografie artistiche degne di essere ricordate. Perciò, la prossima volta che usciremo nel mondo per andare a catturarne dei frammenti grazie alla nostra fotocamera, cerchiamo di pensare a ciò che abbiamo da dire, a ciò che vogliamo davvero esprimere, alle sensazioni e alle emozioni che stiamo provando, o alle aspettative che abbiamo. Solo avendo qualcosa da dire, potremo esprimerci compiutamente. Non scriviamo frasi stupide sui muri, ma iniziamo a perderci "nel mezzo del cammin di nostra vita"!
Quello che sto per dire non è una novità, ma penso sia sempre bene ribadirle, certe cose. Quando inizio i miei incontri sulla fotografia, o introduco i miei corsi, mi piace ricordare che la fotografia è, al di là di ogni altra cosa, principalmente una forma di linguaggio. Il "grafitaro" (anzi, l'imbecille) che scrive sul muro "piccola ti amo" o "Maria sei tutta la mia vita", utilizza esattamente gli stessi strumenti che servirono a Dante Alighieri (iddio mi perdoni!) per metter giù la Divina Commedia. Cioé le parole. Le parole, le frasi e tutta la grammatica che ci fanno studiare (tediosamente) a scuola, possono servire ad imbrattare i muri, scrivere messaggini sul telefonino (quelle cose incomprensibili con tante k e innumerevoli tvtb), redigere un verbale per una multa (ahinoi!), scrivere una poesia, un romanzo o un capolavoro della letteratura. Dunque saper gestire le parole ci mette di fronte a innumerevoli possibilità, ma sta poi a noi diventare un novello Dante o un cretino che lancia messaggi alla fidanzata dai muri della città. In cosa consiste, per davvero, la differenza tra le due forme, diciamo così, di comunicazione (fermo restando che entrambe le cose comunque comunicano)? Ovviamente nel messaggio stesso, e nella sua universalità. La frase scritta sul muro al massimo può voler dire qualcosa per un ristrettissimo numero di persone, che vi si riconoscono (pensiamo anche alle frasi inneggianti partiti o movimenti politici o squadre di calcio), mentre la grande opera letteraria attraversa i secoli e dona emozioni profonde a centinaia di migliaia, potenzialmente milioni di persone. Bene. Anche la fotografia è un linguaggio: al posto delle parole, si utilizzano le immagini. Una fototessera, una foto di catalogo, la riproduzione fotografica di un documento, la foto legale di un incidente stradale, la foto ricordo delle nostre ultime vacanze o "Clearing Winter Storm" e "Moon over Hernandez" di Ansel Adams o il "peperone" di Weston, sono tutte immagini create grazie alla fotografia. Ma mentre le ultime sono come la "Divina Commedia", immagini fatte per durare nel tempo, per essere apprezzate e amate da innumerevoli amanti dell'arte e riconosciute all'istante quando vengono esposte nelle mostre, le prime non durano che il tempo del loro utilizzo, poi svaniscono nel nulla. Si scattano miliardi di foto ogni anno, ma solo poche centinaia divengono fotografie artistiche degne di essere ricordate. Perciò, la prossima volta che usciremo nel mondo per andare a catturarne dei frammenti grazie alla nostra fotocamera, cerchiamo di pensare a ciò che abbiamo da dire, a ciò che vogliamo davvero esprimere, alle sensazioni e alle emozioni che stiamo provando, o alle aspettative che abbiamo. Solo avendo qualcosa da dire, potremo esprimerci compiutamente. Non scriviamo frasi stupide sui muri, ma iniziamo a perderci "nel mezzo del cammin di nostra vita"!
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