"Nello scritto l'interiorità va perduta [...] Nel mutare dei tempi e dei luoghi i segni di scrittura non hanno più la capacità di rievocare tutto ciò di cui sono stati caricati e che per natura potrebbero trattenere, mentre quanto essi lasciano cadere per necessità è quello che più conta, il linguaggio vivente nel ritmo del respiro, radicato in cose animate, assieme al suo riflesso sui volti degli interlocutori". Giorgio Colli, Filosofia dell'espressione, Adelphi, Milano 1969, pag. 200
Io ho sempre provato, invece, a non perdere l'interiorità attraverso la scrittura. Tentativi, i miei, probabilmente fallimentari; però mi sono impegnato (e impegno) nel cercare di tirare fuori dal mio piccolo ego quello che pare avere dentro: schiuma, segatura, briciole, letame, cerume, tabacco d'un tempo e ora più, lamponi, marroni, lacrime e baci a raffica e tracce madreperlacee di coloro che hanno accolto il mio lui (Moravia©). Poca roba, dunque, ancora da catalogare comme il faut, ci vuole una vita per queste cose, e il mestiere del blogger consiste forse in questo (rileggere ora nuovamente il brano di Colli, bello vero?), vale a dire tentare di scrivere un "linguaggio vivente nel ritmo del respiro, radicato in cose animate, assieme al suo riflesso sui volti degli interlocutori".
Che la tenuta di un blog si abbia ha quando lo scrivente detto blogger avverte (certo presuntuosamente) un riflesso di quello che scrive sui volti dei suoi interlocutori? Può essere.
Vero è che, delle volte, a fine scrittura post, un certo sorriso mi prende, come se fossi riuscito davvero a comunicare qualcosa che avevo a cuore o a culo, qualcosa che insomma avevo dentro. L'interiorità quindi sembra così non andare del tutto perduta. Qualcosa resta, anche se poco, del transito di un io affaticato in cerca di compimento.