Allora, ieri guardavo The Strain (sì, lo so, ultimamente i miei articoli sembrano tutti l’inizio di una barzelletta, ma tant’è…), e pensavo che sarebbe stato bello parlarne la settimana prossima, dopo la tredicesima puntata, il finale di stagione.
E riflettevo sul tono che avrei usato, parlandone, perché le recensioni a botta secca, che poi erano tra gli articoli più gettonati qui su Book and Negative, non tirano più, a meno che non si tratti di gettare fango su JJ Abrams, o parlare dell’ultimo film Marvel.
Ma in ogni caso il problema non si pone: non parlerò più, a meno di casi speciali, né del primo, né degli altri.
E quindi pensavo a un modo alternativo di trattare l’argomento “serie televisiva a base di vampiri”. E non l’ho ancora trovato.
E tuttavia, ancora questa settimana si parla di blogger e modo di bloggare, capacità di comunicare e di catturare il pubblico.
E allora m’è tornata in mente una scena vista ieri sera, durante l’episodio n. 12.
È importante per capire, e quindi la devo citare, cercherò di evitare spoiler.
Diciamo soltanto che uno dei protagonisti, che è un medico/scienziato del CDC (il centro controllo malattie) riesce, tramite l’aiuto di un altro personaggio, a mettere in piedi una trasmissione pirata, ovvero a comparire sui canali video per comunicare al mondo, tagliato fuori da un blackout di internet, la realtà dei fatti: ovvero che a New York è in atto un’epidemia, la gente si sta trasformando in vampiri assetati di sangue.
È importante per capire, perché da qui e da un articolo letto oggi, e da un altro letto ieri, e dall’andamento del mio blog nell’ultima settimana scaturisce un discorso piuttosto interessante. E speranzoso (che probabilmente finirà per perdersi come lacrime nella pioggia alla prossima fase di insofferenza & scazzo; tuttavia oggi #vogliocrederci).
Tornando a The Strain, i punti focali sono:
a) il fatto che colui che deve andare in onda e comunicare non è un professionista della comunicazione, ma un medico.
b) il fatto che il tempo per veicolare il messaggio è limitato, perché la trasmissione pirata sarà oscurata.
c) conseguenza diretta del punto b, il fatto che il messaggio dev’essere il più possibile breve e efficace, per ottenere un gran riscontro di pubblico, per risultare credibile.
Che è, in breve, quello che facciamo noi blogger. Tutti i santi giorni. O any given day, come direbbero oltreoceano.
Il nostro messaggio deve arrivare al pubblico in articoli brevi e efficaci.
Questo ci costringe a improvvisarci comunicatori.
O a fallire nel tentativo.
E a pensare a cosa voglia, davvero, il nostro pubblico.
Col quale possiamo discutere, litigare, prenderci a male parole, ma che costituisce, insieme a noi comunicatori, il binomio indissolubile che dà un senso a tutta questa baracca che chiamiano internet.
Senza pubblico e senza autori, ci sono le terre selvagge…
Brutta prospettiva…
Ora, di cosa abbiamo discusso, in quest’ultima settimana? S’è parlato, tra le altre cose:
a) del modo di comunicare
b) degli argomenti da affrontare
c) dei gusti e delle reazioni (e dell’indifferenza) del pubblico
E la conclusione generale più o meno è stata che il pubblico cerca, per lo più, tra le pagine web, solo il divertimento facile, le dot-list infinite (tipo i dieci vibratori più in che si vendono nei sexy-shop, etc…), un susseguirsi infinito di puttanate, che però tirano un sacco in fatto di ascolti. E fanno ridere. Tanto.
Sì, be’… io sono noto per essere un duro e insensibile (altrimenti detto un bvuto), per cui non riesco a ridere… problema mio.
S’è anche discusso del fatto se sia giusto o meno dare al pubblico ciò che il pubblico vuole. Ovvero gli articoli sciocchi, brevi e divertenti, perché “la gente vuole ridere ebbasta”. E mettersi allo stesso livello di spessore culturale delle oloturie (o stronzi di mare, ndr).
E, oltre a farsi risate grasse, la gente vuole anche assistere ai litigi, lo sappiamo.
Ma da queste parti sta succedendo qualcosa di diverso.
Con mia grande sorpresa, e ho aspettato a comunicarlo per avere una conferma statistica, i miei articoli “nuovi”, tipo quello di ieri su Vertigo (e anche gli altri dello stesso tono), che sono più dei mini-saggi improvvisati, anche piuttosto complessi, per certi versi, hanno ottenuto medesimo riscontro rispetto a quelli dal tono più polemico.
Parlo di un grande riscontro.
Argomenti il più possibile distanti – Stesso successo in termini di pubblico
Piacerebbe sapere se mi sono rivolto allo stesso pubblico, o se in questi giorni ho chiamato a raccolta intelletti il più possibile eterogenei.
Questo è il dato che mi manca, per avere un quadro un po’ più completo del rapporto Pubblico/Autori nell’internet 2.0.
Il che, da un lato, mi conforta tantissimo. Non è vero che il pubblico è sciocco e vuole solo sciocchezze. Non del tutto.
È interessato, anzi, a riscoprire film anche vecchissimi, come Vertigo di Hitchcock, purché messi sotto una luce diversa dal solito.
Non è vero che è necessario abbassare il livello di comunicazione, per giungere a solleticare un pubblico più vasto. Magari basta soltanto variarla un po’. Renderla stimolante, la comunicazione. Magari associare alle tette della Lawrence (come dice Sommobuta), la teoria dell’atomo.
Personalmente la ritengo una sfida stimolante.
E, ancor più necessario, è che il pubblico partecipi attivamente condividendo ciò che più gli piace, dando una mano a noi altri: esprimendo una preferenza.
Perché il silenzio è d’oro, ma non vale nulla.
Per la cronaca, la diretta del dottore di The Strain secondo me è andata di merda, ché non ha saputo veicolare il messaggio perdendosi dietro dati statistici e non centrando il punto della questione: i vampiri del cazzo si sono riversati nelle fottute strade!
Ma questo lui non lo dice, non chiaramente, parla ancora di infezione virale.
Pessimo comunicatore.
E poi il tempo finisce.
Che poi gli italiani siano un popolo destinato all’analfabetismo funzionale, questo è un dato di fatto. Non lo dico io, ma l’OCSE.
Che poi ci siano i blogger interessati solo ai guadagni fatti coi clic sui banner pubblicitari che a diffondere contenuti di qualità, anche questo è un dato di fatto. E lo dico io.
Eppure, là fuori c’è ancora qualcuno che cerca altro. Magari vuole perdersi in ragionamenti astrusi, di quelli che faccio io, magari leggersi i miei ebook.
E se l’effetto Pigmalione è ancora valido, siamo noi comunicatori, a formare il nostro pubblico.
È ancora possibile riuscirci.
Certo bisogna combattere, serrare i ranghi, arginare le distrazioni. E sfanculare dove e quando è necessario.
Altre volte, invece, il successo è solo una sacrosanta e ineluttabiile questione di… culo.
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