L’espressione “ordinamento giuridico” consente di ragionare secondo due prospettive diverse: la prospettiva dell’ordinamento come insieme di norme o quella dell’ordinamento come insieme di regole che esprimono comandi e permissioni per loro natura mutevoli. Tanto più si concede spazio alla seconda prospettiva, tanto più si approssima una forma più accentuata di liquidità dell’ordinamento, con la sua conseguente frammentazione.
Chiamiamo giuridiche le norme che assumono un valore vincolante ed esclusivo e che nell’ordinamento trovano una propria identità e hanno la loro esistenza; per ordinamento intendiamo l’aggregato di queste norme di condotta, ma non solo, perché consideriamo le norme in relazione alla società. L’ordinamento è, infatti, in relazione biunivoca alle norme e alla società, intesa quale complessità relazionale legata alla pluralità degli agenti sociali, ipoteticamente cooperanti per scopi e interessi comuni. Ne consegue che norme e società, si combinano in maniera vasta e articolata all’interno dell’ordinamento.
Il doppio legame dell’ordinamento alla norma e alla società determina una linea di incertezza che tende a mettere in crisi il senso stesso dell’ordinamento. Da un punto di vista formale, è chiaro che tutte le proposizioni normative non scritte non esistono, ma è ugualmente vero che ciascuna norma rimanda a un valore di riferimento ritenuto a suo modo vincolante ed esclusivo.
L’ordinamento ha innanzitutto la funzione di unire e di mantenere unite nel tempo molteplici identità. Il rapporto tra persona e diritto nel tempo della post-modernità ricade anche sulla concezione di ordinamento giuridico, spingendo a un ripensamento del ruolo della giuridicità. Anche nella sua declinazione al singolare, l’ordinamento giuridico non è mai riducibile a “uno”, ma anzi, esso è sempre molteplice. La natura plurale dell’ordinamento non è un assommare diversità frammentate, non è un frettoloso apparire del molteplice; in essa si afferma un’unica molteplicità che articola i linguaggi (logoi) nel logos comune. Esigenza irrinunciabile dell’ordinamento non è quella di determinare irrevocabilmente uno status quo, ma quella di essere prospettiva aperta e dinamica volta al superamento di ogni limite. Tanto più efficacie sarà la determinazione di un ordinamento giuridico, quanto più esso saprà relazionarsi e interagire operativamente con quanto non è a sua misura e lo supera, con quanto è essenzialmente molteplice, con la complessità che deriva dal vivere in societate.
Questa molteplicità va dunque innanzitutto compresa e predicata, e tale azione sarà possibile all’ordinamento giuridico nella misura in cui esso stesso sarà in grado di auto-comprendersi e auto-predicarsi, e cioè dire il proprio logos quale rapporto e relazione tra uno e molti.
È innanzitutto necessario individuare parametri di riferimento fondamentali sulla base dei quali rispondere sistematicamente e giuridicamente alle istanze del pluralismo in condizioni determinate di spazio e di tempo, in ottica metagiuridica, in relazione all’ordinamento giuridico. Se si riconosce che l’ordinamento giuridico non esaurisce la realtà e la stessa esperienza giuridica, la sua funzione non può essere che questa: distinguere il giuridico dal meramente fattuale; ovvero, riconoscere e valorizzare gli aspetti del reale che incidono sul piano del giuridico.
L’ordinamento giuridico assorbe in se due dinamiche tra di esse complementari e che attengono al campo della norma e dell’azione: la prima, trascendentale, quale condizione di pensabilità e di conoscenza dell’azione in una prospettiva ontologica; la seconda, immanente, quale condizione di apertura dinamica al reale della convivenza umana, con le sue connessioni e modificazioni, attraverso l’insieme delle strutture e delle forme che organizzano il comportamento umano.
Se si parte da queste premesse è allora possibile proporre una interpretazione dell’ordinamento giuridico lontana da una sua rappresentazione formale e strutturata come sistema di regole del comportamento sociale, al fine di limitare la più che probabile inadeguatezza a rispondere alle istanze plurali e molteplici che nel reale costantemente interpellano il giurista, ma arrivare a suscitare con libertà e responsabilità, capacità tali da offrire risposte a interrogativi sempre nuovi.
Al di là di qualsivoglia sistema di diritto, interrogarsi sulla legittimazione di un ordinamento giuridico significa porsi un serio interrogativo sulla compatibilità e sulla interrelazione tra esistenza ed essenza, tra fondamento in fieri e realtà in facto esse, sul suo significato e sulla sua validità. Senza dimenticare che un ordinamento giuridico esiste in quanto è osservato ed è in grado di essere la rappresentazione di un insieme di giudizi di valore e giudizi di fatto che vanno a incidere sul reale nel suo più vasto ambito di significati, organizzandolo attraverso una rete di norme; allo stesso tempo, non può essere tralasciata una riflessione dal carattere metagiuridico, capace di delineare parametri di riferimento pre-normativi.
Se questo passaggio logico di svelamento genera difficoltà che superano di gran lunga il ragionevole livello degli interrogativi, c’è allora da domandarsi se la riflessione delle dottrine che studiano l’ordinamento giuridico non si sia allontanata, anche solo per necessità pratica, da una riflessione che vuole rispondere alle istanze di validità, legittimità ed efficacia, e che considera questi ambiti come il frutto di una riflessione più ampia che li ricomprende e li riempie di un significato che va oltre singole e storiche precomprensioni.
A. Iaccarino, Legittimazione degli ordinamenti giuridici tra mito e utopia, in G.L. Falchi – A. Iaccarino, Legittimazione e limiti degli ordinamenti giuridici, 2012.