Molto spesso si ritiene che le figure retoriche siano appannaggio della poesia, escludendo in tal modo che possano riguardare la prosa e gli interessi di chi intende scrivere esclusivamente secondo quest’ultima forma svincolata dalla metrica. Errore! Fa parte del bagaglio culturale di ogni scrittore che si rispetti la conoscenza di tutti gli strumenti a sua disposizione; le figure retoriche sono tra questi.
Cos’è una figura retorica? Già l’espressione suggerisce un certo non so che di superficiale e pomposo, forse perché il primo dei due termini, figura, in sé richiama l’esteriorità, l’apparenza, l’artificio e tutta l’accezione negativa derivata dal rapporto di questi altri termini con i loro contrari. Come se non bastasse, poi, nel linguaggio comune retorico si riferisce in senso spregiativo a certi discorsi e scritti ampollosi, carichi di enfasi e ricercati nella forma, ma privi di consistenza e di validità sul piano dei contenuti. Per non parlare delle cosiddette domande retoriche, vale a dire di quelle interrogazioni che non puntano certo ad avere una vera risposta, in quanto essa è già ovvia, e che proprio per questo spesso suonano antipatiche e provocatorie. Insomma, da un simile quadretto le figure retoriche non ne escono affatto bene, anzi! Eppure c’è dell’altro, la parte più vasta e importante di ciò che è la retorica.
La retorica nasce come un’arte o, meglio, una τέχνη del discorso. Essa diviene solo successivamente una vera e propria disciplina imperniata su un complesso di norme che regolano tale «arte del parlare e dello scrivere in modo persuasivo, efficace ed esteticamente pregevole», tanto da essere degna d’insegnamento. Già il filosofo e fisico Empedocle di Agrigento (V secolo a.C.) viene ricordato da più parti per tale abilità, resa in forma scritta dai suoi allievi siracusani Corace e Tisia. Tale disciplina, che allora era conosciuta già da tempo, fu ancora arricchita e articolata nei secoli, passando dall’Antica Grecia ai giorni nostri attraverso moltissimi contributi autorevoli: Platone, Aristotele, Cicerone, Quintiliano e numerose altre personalità note, vissute anche in età medievale e moderna. Pare però essere stato il sofista Gorgia da Leontini (oggi Lentini, SR), vissuto a cavallo fra il V e il IV secolo a.C., il primo a inserire nella prosa le figure retoriche, i tropi e gli ornamenti fino a quel tempo tipici della poesia.
Già nella Rhetorica ad Herennium erano segnalati ben quattro elementi (o parti) necessari alla realizzazione di una buona orazione: inventio (la ricerca degli argomenti e del genere adatti allo scopo), dispositio (l’ordine in cui disporre gli argomenti), elocutio (attinente all’espressione del discorso per scelta delle parole, della composizione e dello stile), memoria (le tecniche per memorizzare sia il proprio discorso che le tesi avversarie da controbattere) e actio (o pronunciatio, ossia la capacità di recitare in pubblico l’orazione in modo convincente). Se per uno scrittore memoria e actio possono ritenersi superflue, lo stesso non può dirsi per le altre parti.
L’ornatus costituisce un tratto essenziale dell’elocutio. Un discorso, infatti, oltre a essere adeguato al contesto (aptum), corretto dal punto di vista sintattico e grammaticale (puritas o latinitas), chiaro e comprensibile (perspicuitas), è importante che sia gradevole. Per ottenere questo risultato si ricorre alle cosiddette figure retoriche. Attraverso queste procedure o artifici linguistici si fa un uso delle parole che si allontana da quello solito e più comune. La retorica, come ricorda Roland Barthes, può intendersi come scienza, come morale, come pratica sociale e come pratica ludica (basti pensare ai giochi di parole).
Attraverso espedienti linguistici si possono sortire effetti vari e inattesi. La lingua, infatti, diviene uno strumento straordinario quando la conoscenza della stessa e dei suoi “segreti” viene riposta in persone capaci e disposte ad apprenderla, combinarla e renderla efficace, suadente, divertente, coinvolgente, stimolante, commovente e molto altro. Tra queste personalità si possono annoverare i comici, gli sceneggiatori, i pubblicitari, come pure i cantautori, i poeti, i politici e chiunque intenda farne un modo per comunicare davvero un messaggio di qualsivoglia genere. Non può, dunque, uno scrittore (sia pure del tutto disinteressato alla poesia) ignorare le possibilità che un simile scrigno dischiude agli occhi di chi desidera condividere con gli altri quanto di buono e di bello può produrre tale ricchezza, la lingua.
Le figure retoriche, variamente classificate, sono centinaia; perciò, per maggiori dettagli si rimanda agli articoli futuri.