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Il lume dell’aspirante scrittore – Perché sì?

Creato il 23 febbraio 2011 da Sulromanzo

Talento e preparazioneIeri sera ho pensato a cosa avrei voluto scrivere questa volta. Forse, però, farei meglio a scrivere dovuto. Dovuto e voluto scrivere. Poi, questa mattina, una capatina sul più noto social network site del momento mi ha schiarito del tutto le idee.

Cosa ho visto? Presto detto: un amico ha pubblicato un video, colonna sonora e un susseguirsi di immagini. Niente di speciale, no? No, infatti. Non era il fatto che fosse un video né era la musica a colpirmi. Niente affatto. Ho visto il mio amico. Non una foto o un’immagine che lo ritraesse, no. Ho visto il mio amico... nelle sue opere. Nei disegni. In quei bianchi e neri tracciati su carta, tela o qualunque altra cosa fosse. Poco importa. Lui era lì. Era lì come non lo avevo mai visto prima. Come non può essere visto passeggiando per strada, parlando a tu per tu e – forse, nel suo caso – neanche attraverso la scrittura.

Ho visto il suo talento? Talento, attitudine, inclinazione, disposizione naturale, genio. Nessuna di queste espressioni rende quello che intendo. Le ultime due, però, ne hanno l’aroma, il sentore. È evidente, infatti, nei suoi quadri e nei bozzetti che il ragazzo è tagliato per certe cose. Si potrebbe dire che è portato per… Non basta. C’è di più della disposizione naturale. Il genio? “Ha il genio dell’arte” si potrebbe dire. Il succo non cambia. Allora, è un genio del disegno? Qualcosa del genere. Infatti ha una dote, un dono; non so se si possa parlare di qualcuno fornito addirittura di «potere ultraterreno», a meno che non si intenda che in ciò che fa c’è un alito divino, una scintilla. È quasi come se fosse pervaso di un estro innato e inspiegabile. È così?

C’è gente a questo mondo che riesce bene (o benissimo) in qualcosa come per magia e poi ci sono i comuni mortali: quelli che tirano a campare facendo professioni e mestieri ritenuti ordinari, riuscendo più o meno bene, e quelli – credo la maggioranza – che ritengono di essere speciali, di avere in sé qualcosa di straordinario che prima o poi (forse ‘per miracolo’) verrà fuori o – peggio – si credono degli dèi in qualcosa, in genere il qualcosa consiste nelle cosiddette arti, vedi cinema, pittura, scultura, canto, scrittura e quant’altro tenda a essere ritenuto – secondo me, a torto – immune da giudizio e avulso da principi, norme e linee guida. Così qualsiasi cosa “è arte”, perché “può piacere o meno”. Perché “prima che il classico fosse tale è stato nuovo”. Allora via con il nuovo per il nuovo, lo strano per lo strano e così via.

Lo scrittore, così come il pittore, non può esimersi dal giudizio altrui, dal conoscere le regole del gioco (anche solo per trasgredirle), dal saper impugnare una penna o dal destreggiarsi tra le caratteristiche del software che usa per riportare in forma scritta quello che gli passa per la testa (e spesso, a riguardo, sarebbe meglio fare chiarezza con se stessi e mettere ordine tra le idee prima del “fattaccio”).

Dove voglio arrivare con questo discorso? io, che sto usando questo stile colloquiale, buttato lì, come se non mi importasse? Dove andrò a parare? ne ho un’idea?

Vedete, la cosiddetta ispirazione è importante, è un motore, anzi, è un moto interiore, una voglia, un desiderio, un’aspirazione. Un’aspirazione a rendere comune quello che sembra solo nostro, così privato e così esplosivo. Quando quella forza si fa centrifuga ritengo che non sia salutare trattenerla. Capita di sentirsi nati per fare qualcosa di cui un po’ ci si vergogna, da un lato perché troppo intimo e dall’altro perché – conseguentemente – pericoloso. Scoperti si è più vulnerabili. Quanti hanno non una scorza, ma un’essenza abbastanza forte per resistere agli attacchi provenienti da ogni dove. Quanti sono abbastanza sicuri di se stessi da vivere con serenità idee e sentimenti in relazione a tutti gli altri? Molti artisti lo sono. Forse non è un caso se spesso si tratta di omosessuali dichiarati, vale a dire di persone coraggiose e oneste a un punto tale da affrontare se stessi e il resto dell’umanità, coscienti dello scherno, delle iniquità, dei preconcetti e degli stereotipi con i quali almeno una volta di troppo saranno costretti a misurarsi.

Chi fa il medico va incontro alla possibilità di sbagliare, di sbagliare fino a determinare le sorti di un’altra vita, l’interruzione di un’altra esistenza. A volte rischia il linciaggio da parte dei parenti, altre la galera, altre ancora un gigantesco senso di colpa. Eppure, se egli facesse bene il suo lavoro, la faccenda si ribalterebbe: potrebbe salvare vite altrimenti condannate, quindi essere lodato e ringraziato. Guadagnerebbe fama e rispetto. Bello, no? Certo, ma la seconda possibilità non si trova come sorpresina in un pacco di patatine. Non si compra con i soldi di papà. Non la si conquista neanche facendo gli spavaldi o i “filosofi”. Per quanto suoni simile a una contraddizione: udite, udite! anche per gli scrittori le chiacchiere stanno a zero.

Il mio amico disegnatore avrà pure la scintilla e la magia, ma la formazione è indispensabile. Un tempo i ragazzini si mandavano a bottega per imparare il mestiere. Gli uomini che fanno ancora oggi risuonare alto il nome dell’Italia nel Mondo non sono certo venuti su come funghi. Gente con malattie e deformità, gente povera e gente ricca, gente osteggiata, gente orfana, gente che non si è lasciata fermare dalle guerre, dalla cecità, dalle percosse, dai familiari. Gente che non si è inventata scuse. Gente che non aveva paura di imparare. Gente che non aveva paura di cadere. Gente che si è armata di umiltà, tenacia, coraggio, impegno e desiderio. Gente motivata. Gente di buona volontà.

Voi, che gente siete?


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