IL luogo che non esiste
Creato il 22 settembre 2013 da Coloreto
@LoretoCo
La ragione umana, in ogni spazio e tempo, è perpetuamente sospinta da “un pungolo di semplice vanità”, di onniscienza che porta inevitabilmente a speculazioni su realtà ideali. Il concetto di utopia nasce dall’uomo e per l’uomo, non perde d’attualità perché è parte del nucleo dell’essenza umana. Si ricorda Platone tra i primi a conferire all’utopia politica una rigorosa sistematicità; ma il primato nell’utilizzo del termine non può essere negato a Thomas More,
avvocato londinese, che visse in un momento fertile per l’attuazione di una cultura politica oppositrice alla società tradizionale. Ricordiamo che l’Europa era ancora calda di una cultura umanista che aveva inevitabilmente condotto ad una fede nella ragione umana, a studi letterari accompagnati da un effettivo impegno civile. La vita di More è indiscutibilmente segnata da un impegno sociale, impegno che diventa causa prima di una speculazione filosofica al servizio del cittadino. Da buon osservatore e politico, More attenziona, come è evidente nella sua opera prima “Utopia”, il torpore di un ceto aristocratico parassitario che porta ad insostenibili differenze sociali. More è figlio del suo tempo, e quindi promotore di un acceso impegno sociale, fiducioso nel progresso, utopista anche se in maniera del tutto originale.
Il termine “utopia” dal greco “ou topos” (non luogo, luogo che non esiste) trova il suo primo utilizzo nell’opera di More. Già dall’etimologia del termine è deducibile la concezione dell’ideale politico di More. L’inesistenza dell’essere ideale è un concetto ribadito quasi ossessivamente dal filosofo, che quasi a voler confermare il detto latino (Nomina sunt consequentia rerum) attribuisce alle cose nomi che ne definiscono l’essenza Udemo (senza popolo) per indicare il principe, Anidro (senz’acqua) per designare il fiume, Amauruto (città invisibile). L’inesistenza della realizzazione dell’ideale sociale, testimoniata nella prima parte dell’opera da Raffaele Itlodeo, garantisce all’utopia politica un’accezione positiva; da qui la distinzione tra utopico ed utopista. Utopico, inteso come concetto prettamente progressista, tipico di colui che osserva, conosce la realtà di cui è partecipe, di colui che è cosciente che è possibile il miglioramento, non la realizzazione dell’ideale. Utopistico, è di qualcosa che si pretende realizzabile, nonostante non lo sia di fatto.
La modernità di Utopia trova uno dei suoi motivi fondamentali nell’uguaglianza che non esclude il merito: in Utopia tutti gli uomini nascono uguali, tutti debbono lavorare la terra, risiedono alternativamente in campagna e in città. Nonostante gli uomini nascano tutti uguali, si creano disuguaglianze legate al merito: la schiavitù esiste ma come punizione per i peggiori crimini, tra i più meritevoli vengono scelti sacerdoti, politici, e altre cariche di rilievo. Per quanto concerne la religione, More, affermando che Dio ama la varietà di culti, non legifera sulle religioni, ma pone libertà di culto, ad eccezione degli atei, affermando che l’ateismo è una forma di abbassamento della natura umana.Si necessita ricordare che la riforma di More è realizzata nell’immaginario, al di là dello spazio, nell’astrazione del pensiero più puro. More coglie che la realizzazione di uno stato ideale implicherebbe la realizzazione di una realtà ferma, privata di ogni eventualità, e quindi di ogni forma di umanità.Marta Leocata
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