Sommario del numero XXX (2-2013)
La Turchia è Europa
La regione chiamata con termine greco-bizantino Anatolia (“terra di levante”) nell’antichità fu considerata parte integrante dell’Europa: Erodoto1 fissa infatti il confine orientale dell’Europa sul fiume Fasi, nei pressi degli odierni porti georgiani di Poti e Batumi. Nel Medioevo Dante colloca “lo stremo d’Europa”2 vicino ai monti dell’Asia Minore, dai quali, dopo la distruzione di Troia, l’Aquila imperiale spiccò il volo verso l’Italia. Per la geografia moderna, la penisola anatolica è la propaggine più occidentale dell’Asia; tuttavia alcuni geografi la considerano più che altro la quarta penisola del Mediterraneo, data la sua posizione analoga a quella delle penisole iberica, italiana e greca.
Sotto il profilo etnico, il popolo turco stanziato nella penisola anatolica costituisce il risultato di una sintesi che ha coinvolto popoli di diversa origine. Fin dall’antichità, l’Anatolia è stata abitata da popolazioni di lingua indoeuropea: Ittiti, Frigi, Lidi, Lici, Panfili, Armeni, Celti ecc. Con l’arrivo dei Turchi Selgiuchidi e poi dei Turchi Ottomani, ebbe luogo una fusione dell’elemento autoctono con quello turanico, sicché oggi si ha in Turchia “un tipo medio, che va considerato più di fattezze europee che asiatiche”3. In altre parole, i Turchi dell’Anatolia “sono in maggioranza europidi purissimi, passati nel tempo all’uso di una lingua turca a opera dei loro conquistatori centro-asiatici”4.
La lingua ufficiale della Turchia, il turco ottomano (osmanli), come tutte le lingue turco-tatare appartiene al gruppo altaico. Si tratta perciò di una lingua non indoeuropea, così come non sono indoeuropee altre lingue parlate da secoli in Europa: le lingue turco-tatare della Russia, le lingue caucasiche, il basco, le lingue ugrofinniche (ungherese, finlandese, estone, careliano, lappone, mordvino, ceremisso, sirieno, votiaco ecc.).
La religione professata dalla quasi totalità del popolo turco è l’Islam, presente in Europa fin dall’VIII secolo d.C. La Turchia è musulmana così come lo sono state la Spagna, la Francia meridionale e la Sicilia; come lo sono alcune regioni della Russia, del Caucaso e dei Balcani; come lo è oggi una parte della popolazione dell’Europa, dove il numero complessivo dei musulmani supera ormai i dieci milioni di anime.
La dinastia che resse l’Impero ottomano fino alla sua caduta fu in sostanza una dinastia europea, nella quale il tasso di sangue turco diminuiva ad ogni generazione, poiché la validé (la madre del Sultano) era o greca, o slava o circassa o anche italiana. In un certo senso, si potrebbe dunque dire che i Sultani ottomani erano “più europei” che non i re ungheresi della dinastia di Arpád, turanici per parte di padre e di madre. Quanto alla classe dirigente ottomana, furono innumerevoli i visir, i funzionari politici e gli ufficiali dell’esercito appartenenti ai popoli balcanici. Gli stessi giannizzeri, l’élite militare dell’Impero, non erano d’origine turca.
Il pontefice Pio II, nella lettera da lui inviata nel 1469 a Mehmed il Conquistatore, riconobbe il Sultano come “imperatore dei Greci” de facto, in quanto successore dei basileis di Bisanzio e degli imperatori di Roma: “Fuerunt Itali rerum domini, nunc Turchorum inchoatur imperium”. Papa Enea Silvio Piccolomini proponeva quindi al Conquistatore di trasformare la situazione de facto in stato de jure, facendosi nominare da lui “imperatore dei Greci e dell’Oriente” mediante… “un pochino d’acqua (aquae pauxillum)”. Ma, mentre un altro principe “pagano”, il magiaro Vajk, si era fatto battezzare col nome di Stefano e aveva ricevuto da Papa Silvestro II la corona regale, Mehmed invece rimase Mehmed e trasmise ai suoi successori quell’autorità imperiale che, toccatagli per effetto dell’ordalia del maggio1453, era stata ben presto riconosciuta dall’Europa in maniera esplicita e ufficiale. Secondo la Repubblica di Venezia, infatti, Mehmed II era imperatore di Costantinopoli, cosicché gli spettavano di diritto tutti i territori dell’impero bizantino, comprese le vecchie colonie greche della Puglia (Brindisi, Taranto e Otranto). Per quanto riguarda Firenze, Lorenzo il Magnifico fece coniare una medaglia sulla quale, accanto all’immagine del Conquistatore, si poteva leggere: “Mahumet, Asie ac Trapesunzis Magneque Gretie Imperat(or)”; dove per Magna Gretia si doveva intendere Bisanzio col suo vasto retroterra europeo. Altre due medaglie, che parlavano anch’esse un linguaggio inequivocabile circa il carattere rivestito dall’imperium ottomano, furono fatte coniare nel 1481 da Ferrante d’Aragona; le iscrizioni qualificavano Mehmed II come “Asie et Gretie imperator” e “Bizantii imperator”.
“Fatto come i Romani per reggere i popoli, secondo l’affermazione dell’antico poeta, [il Turco] ha governato vecchi popoli civili nel rispetto delle loro tradizioni e delle loro ambizioni millenarie”5. Così l’Impero ottomano, subentrando all’Impero Romano d’Oriente, fu “l’ultima ipostasi di Roma (…) la Roma musulmana dei Turchi”6, ovvero “un Impero romano turco-musulmano”7. La Turchia ottomana fu perciò una potenza europea, come venne d’altronde ufficialmente riconosciuto dagli stessi rappresentanti degli Stati europei nel congresso di Parigi del 1856, quando la Turchia era diventata “il grande malato d’Europa”.
Un secolo e mezzo più tardi lo Stato turco non è più il grande malato d’Europa, ma, al contrario, gode di uno stato di salute migliore di quello di molti Paesi europei. Tuttavia, pur essendo candidata dal 1999 all’ingresso nell’Unione Europea, la Turchia viene tenuta in quarantena a tempo indeterminato. La sua adesione all’Unione, fissata per il 2015, è tutt’altro che scontata.
La Turchia è Asia
Il primo insediamento di un popolo turco sul territorio anatolico ebbe luogo in seguito alla battaglia di Melashgert, avvenuta il 26 agosto 1071, nella quale le truppe comandate da Romano Diogene furono sbaragliate dai guerrieri selgiuchidi di Alp Arslan. Con questi primi invasori turchi erano arrivati in Anatolia anche i Turchi ottomani, ai quali fu inizialmente assegnata una marca di confine fra i territori selgiuchidi della Frigia e della Galazia e la provincia di Bitinia, ancora sotto controllo bizantino; l’indebolimento della potenza selgiuchide favorì la nascita dell’impero ottomano.
Ma già prima che Selgiuchidi e Ottomani giungessero in Anatolia, tra i secoli VI e IX diversi gruppi turchi si erano stanziati in Europa. I Cazari avevano fondato un impero che dalle rive nordoccidentali del Caspio si estendeva fino alla Crimea; i Bulgari avevano costituito due distinti khanati, nei bacini della Volga e del Danubio; gli Avari erano dilagati fino ad occidente del Tibisco; i Peceneghi avevano occupato le foci del Danubio; i Qipciaq e i Cumani si erano stabiliti a nord e a nordest del Mar Nero. Prima ancora, nel IV secolo, nei territori dell’Impero romano erano apparsi gli Unni, che sotto la guida di Attila (m. 453) sarebbero poi assurti a grande potenza creando un impero; essi erano i probabili discendenti di quegli Hsiung-nu che per qualche secolo avevano minacciato l’Impero cinese.
Selgiuchidi e Ottomani, antenati dei Turchi d’Anatolia e degli Azeri, costituiscono una delle tre parti in cui si divise, tra i secoli X e XII, la massa di tribù turche nota come gruppo oguzo. La seconda, costituita inizialmente da Uzi e Peceneghi, è rappresentata oggi dai Gagauzi (sparsi tra Ucraina, Repubblica di Moldavia, Romania e Bulgaria) nonché da varie comunità turche dei Balcani. La terza parte del gruppo oguzo è quella che, rimasta rimasta nei pressi dell’Aral, diede origine al popolo dei Turkmeni.
Premesso che i vari sistemi di classificazione delle lingue e dei dialetti turchi proposti dai turcologi “sono tutti necessariamente artificiosi nel tentativo di raggruppare concrezioni linguistiche di età differente”8, è comunque possibile collocare il gruppo oguzo nel ramo occidentale della famiglia turca, al quale appartengono anche i gruppi bulgaro, kipciak e karluk.
Il gruppo bulgaro, che nell’Alto Medioevo comprendeva la lingua parlata dai Bulgari della Volga e della Kama, nonché la lingua cazara, è rappresentato attualmente dal ciuvascio, parlato sui territori di tre repubbliche autonome della Federazione Russa.
Il gruppo kipciak viene ripartito in tre sottogruppi, al primo dei quali appartenne la lingua di quei Cumani che, apparsi nell’Est europeo nel sec. XI, in parte si stanziarono in territorio ungherese; le lingue vive di questo sottogruppo sono parlate da circa cinque milioni di anime tra Lituania, Ucraina, Caucaso, Kirghizistan e Uzbekistan. Il secondo sottogruppo è costituito da Tatari e Baskiri. Fra le tre lingue del terzo sottogruppo, la più importante è quella kazaka, lingua ufficiale del Kazakhstan.
Il gruppo karluk comprende, oltre ad alcune lingue antiche e letterarie, due lingue parlate in vari territori dell’Asia centrale: l’usbeco (ufficiale in Uzbekistan) e l’uiguro moderno (ufficiale nella Regione Autonoma dello Hsinkiang).
Per quanto riguarda il ramo orientale della famiglia turca, esso comprende il gruppo uiguro-oguzo e quello kirghiso-kipciak. Nel primo gruppo rientrano, assieme ad altri idiomi, il tuvino, parlato nell’omonima repubblica della Federazione Russa, e lo jacuto, che corrisponde alle zone più settentrionali ed orientali dell’area turcofona (Repubblica Jacuta e isola di Sachalin). Nel secondo gruppo, la lingua più diffusa è il chirghiso, che è parlata in Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Hsinkiang, Afghanistan e Pakistan.
Fatta eccezione per la lingua parlata anticamente dai Bulgari, per lo jacuto e per il ciuvascio, le lingue turche antiche e moderne non differiscono molto tra loro, sicché risulta evidente il rapporto di affinità linguistica che lega i Turchi dell’Anatolia agli altri popoli turchi che vivono nel continente eurasiatico.
Prospettive eurasiatiche
Non è facile stabilire dove gli antenati della grande famiglia turca abbiano avuto la loro primitiva dimora, dalla quale ondate successive di orde nomadi partirono per invadere i territori della Cina, dell’India, della Persia e dell’Europa. Secondo le ipotesi formulate dagli studiosi, la sede originaria dei Turchi dovrebbe coincidere con la zona dei monti Altai o con la regione compresa tra gli Altai, gli Urali e l’Ural, mentre altri ritengono che essa si sarebbe trovata a nord della Cina, nell’odierna Jacuzia; altri ancora indicano la vasta area che va dal deserto del Gobi fino al corso della Volga.
L’identificazione dell’Urheimat turco con la regione designata dal termine persiano Turan, a nord dell’Iran, costituisce il mito d’origine del movimento politico-culturale noto come panturanismo, che preconizza l’unità dei popoli turchi. Della tesi panturanista, nata nel quarto decennio del XX secolo in ambiente tataro, si appropriò Ármin Vámbéry9, il quale la propose alla Gran Bretagna come uno strumento ideologico da utilizzare nel “Grande Gioco”: una grande entità politica compresa tra i Monti Altai e il Bosforo avrebbe potuto sbarrare per sempre la strada all’espansione russa verso la Persia e i Dardanelli. Ben diverso fu il significato che l’ideale panturanico assunse nei primi anni del Novecento, quando fu la Germania guglielmina, alleata della Turchia, a sostenere il panturanismo e il panislamismo nel quadro geostrategico di un asse Berlino-Vienna-Istanbul-Bagdad che metteva a rischio l’egemonia coloniale britannica.
Anche Samuel Huntington ha preso in seria considerazione l’eventualità che, ponendosi “a capo di una comunità di nazioni turche”10, la Turchia “si ridefinisca come paese leader del mondo islamico”11 e persegua “sempre più intensamente i propri interessi particolari nei Balcani, nel mondo arabo e in Asia centrale”12. Il teorico dello “scontro delle civiltà” ha riassunto nei termini seguenti le iniziative intraprese da Ankara in direzione turanica subito dopo il crollo dell’URSS: “Il presidente Özal e altri leader turchi cominciarono a vagheggiare la creazione di una comunità di popoli turchi e dedicarono grandi sforzi per sviluppare legami con i ‘turchi esterni’ dell’ex impero ‘dall’Adriatico ai confini con la Cina’. Particolare attenzione venne prestata all’Azerbaigian e alle quattro repubbliche centroasiatiche di lingua turca: Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan e Kirghizistan. Nel 1991 e 1992 la Turchia avviò un’ampia gamma di iniziative volte a rinsaldare i legami e ad accrescere la propria influenza in queste nuove repubbliche: prestiti a lungo termine e a interesse agevolato (…) assistenza umanitaria (…) televisione via satellite (…) reti telefoniche, servizi aerei, migliaia di borse di studio e corsi di formazione in Turchia per banchieri, imprenditori, diplomatici e ufficiali centroasiatici e azeri. Furono inviati insegnanti di lingua turca e sono nate circa duemila imprese miste. La comunanza culturale ha certamente aiutato i rapporti economici”13.
Nell’elaborazione geopolitica di Ahmet Davutoğlu14, consigliere diplomatico di Erdoğan diventato ministro degli Esteri nel 2009, la comunità dei popoli turchi occupa un posto fondamentale: “L’impero delle steppe, l’Orda d’Oro, dal Mar d’Aral all’Anatolia è un punto fermo del suo pensiero. La Turchia ha ogni interesse a rivivificare questa vocazione continentale e ad avvicinarsi al gruppo di Shanghai sotto la bacchetta della Cina e della Russia”15. La lentezza con cui procedono i negoziati per l’adesione all’Unione Europea è stata determinante per spingere Ankara nella direzione teorizzata da Ahmet Davutoğlu, il quale ha firmato nell’aprile 2013 un protocollo d’intesa che fa della Turchia un “membro dialogante” dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai. “Ora, con questa scelta, – ha dichiarato Dmitrij Mezencev, segretario generale dell’Organizzazione – la Turchia afferma che il nostro destino è il medesimo dei Paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai”. E Davutoğlu: “La Turchia farà parte di una famiglia composta di paesi che hanno vissuto insieme non per secoli, ma per millenni”.
La decisione turca di aggregarsi all’Organizzazione di Shanghai, nucleo di un potenziale blocco di alleanza eurasiatica, potrebbe essere gravida di importanti sviluppi. Infatti la politica di avvicinamento a Mosca, Pechino e Teheran, se coerentemente perseguita, si rivelerebbe incompatibile con un “neoottomanismo” che malamente nasconde un ruolo subimperialista, funzionale agl’interessi egemonici statunitensi. Non solo, ma prima o poi la Turchia potrebbe porre seriamente in discussione il proprio inserimento nell’Alleanza Atlantica e rescindere i vincoli col regime sionista, qualora intendesse credibilmente proporsi come punto di riferimento per i Paesi musulmani del Mediterraneo e del Vicino Oriente. E non è nemmeno da escludere che uno scenario di tal genere possa indurre l’Europa stessa ad un’assunzione di responsabilità, incoraggiandola a riannodare quell’alleanza con la Turchia che la Germania e l’Austria-Ungheria avevano stabilita all’inizio del secolo scorso…
Börteçine,il lupo grigio che guidò i Turchi verso l’Anatolia, oggi si trova ad un bivio. Non si tratta di scegliere tra l’Europa e l’Asia, ma tra l’Occidente e l’Eurasia.
* Claudio Mutti, direttore di “Eurasia”.
1. Erodoto, IV, 45.
2. Dante, Par. VI, 5.
3. R. Biasutti, Le razze e i popoli della terra, Utet, Torino 1967, vol. II, p. 526.
4. S. Salvi, La mezzaluna con la stella rossa, Marietti, Genova 1993, p. 60.
5. R. Grousset, L’empire des steppes, Payot, Paris 1939, p. 28.
6. N. Iorga, cit. in I. Buga, Calea Regelui, Bucarest 1998, p. 138.
7. A. Toynbee, A Study of History, London – New York – Toronto 1948, vol. XII, p. 158).
8. A. Bombaci, La letteratura turca, Sansoni-Accademia, Firenze-Milano 1969, p. 17.
9. Ármin Vámbéry (pseud. di Hermann Bamberger) nacque il 19 marzo 1832 da una famiglia ebraica che si era stabilita a Szentgyörgy, nei pressi dell’attuale Bratislava. Dopo avere studiato il turco, nel 1857 andò a Istanbul, dove rimase fino al 1861. Partito per l’Asia centrale, si spacciò per derviscio ed arrivò a Khiva, Bukhara e Samarcanda. Rientrato a Pest, si recò successivamente a Londra, dove, per i servigi resi alla Gran Bretagna, fu nominato membro onorario della Royal Geographical Society e ricevuto dalla corte reale inglese. Nel 2005 gli Archivi nazionali di Kiev hanno rivelato che Vámbéry lavorò per il British Foreign Office come agente e spia nel “grande gioco” in Asia centrale. Nel 1900-1901 si adoprò per procurare a Theodor Herzl un’udienza presso il Sultano Abdülhamid II. Morì il 15 settembre 1913.
10. S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano 2001, p. 211.
11. S. P. Huntington, op. cit., p. 234.
12. S. P. Huntington, op. cit., ibidem.
13. S. P. Huntington, op. cit., p. 210.
14. A. Davutoglu, Strategik derinlik [Profondità strategica], Kure yayinlari, Istanbul 2008.
15. T. Josseran, La nouvelle puissance turque. L’adieu à Mustapha Kemal, Ellipses, Paris 2010, pp. 42-43.
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