Grillo, alle elezioni europee del 25 maggio, ha clamorosamente floppato. Clamorosamente non tanto perché avrebbe potuto concretamente superare il PD (una forza politica di protesta sono convinto che, almeno in Italia, non possa superare il 26-27%), ma per le grosse pretese avanzate dal leader indiscusso del M5S, ovvero Beppuzzo Grillo, e per il provocatorio guanto di sfida lanciato a Renzi. Un guanto imbevuto di arroganza e populismo che si è rivelato per quello che effettivamente era: una pesante zappa sui piedi.


Questa sconfitta sarebbe paradossalmente potuta essere l’ultimo baluardo del Movimento. Essa, infatti, avrebbe dovuto avviare un processo di autocritica e autoanalisi. Il M5S, invece di sbracciarsi a giustificare e a mistificare il flop elettorale, avrebbe dovuto fare un’inversione di rotta in termini di comunicazione e buona parte del programma. Avrebbe dovuto farsi due domande sul conto del suo leader e, perché no, mandarlo a casa. Ah!, quasi dimenticavo, che schiocchino che sono, Grillo è il detentore del simbolo, anche volendo, come si fa a buttare fuori dalla sua dimora il proprietario di casa?

Il M5S, insomma, ha perso sostanzialmente due volte. La prima sconfitta è avvenuta nei seggi, la seconda, essendo più interna e strutturale, non è ancora perfettamente visibile ma, di questo ne sono certo, porterà il M5S alla deriva.
