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Il mammone: tra bisogno dell’altro e stereotipo culturale

Da Silvestro

A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma

Gli italiani sono anche noti per essere “mammoni”. Questo appellativo nella sua interpretazione positiva è sinonimo di attaccamento alla famiglia. Tale situazione non ha però fatto crescere e sviluppare il senso di autonomia, di autostima e di forza di volontà individuale: in altri termini, fin da bambini la nostra situazione familiare ci ha abituato ad appoggiarci alla mamma quando ci facevamo male, quando un compagno a scuola ci picchiava, quando prendevamo la febbre o l’influenza, etc. Ovvero in tutti i casi di difficoltà. Svincolandoci tuttavia dall’aspetto culturale, a livello psicologico possiamo riscontrare delle caratteristiche ben precise che identificano nel mammone qualcosa di ben più ampio rispetto all’uomo attaccato alla gonna materna.

Chi è quindi il mammone?

Si tratta di un individuo bisognoso di costanti rassicurazioni per scelte e decisioni, ha necessità di essere guidato e di essere accudito proprio come accadeva nella casa materna. Il mammone infatti proietta sulla partner la figura materna o, per ipercompensazione, cerca dalla compagna il soddisfacimento dei bisogni che sono stati frustrati nell’infanzia: in particolar modo quelli di considerazione e accettazione. Se quindi da un lato questa tipologia di uomo può far sentire la donna in un porto sicuro perchè è sempre presente e molto difficilmente se ne andrà, quello che tuttavia è meno chiaro sono le dinamiche che quotidianamente ruotano intorno ai temi di dipendenza ( dalla propria partner e dalla mamma), autonomia e responsabilità ( sapientemente evitate) che finiscono con il far sentire alla donna il “peso gravoso” della relazione. Il mammone ha quindi costantemente bisogno di essere rassicurato, accudito e guidato, alla ricerca costante di punti di riferimento in ogni ambito della vita e al contempo molto attento dall’assumersi responsabilità che potrebbero favorire la sua crescita e indipendenza. Richiede quindi attenzioni spesso quasi esasperanti ed effettua paragoni spesso scomodi con la madre o con le donne precedenti, conferendo all’attuale l’onore (ma in realtà è un onere) di aiutarlo e sostenerlo in questa eterna lotta con se stesso e con la figura genitoriale di cui cerca tremendamente l’approvazione.

Qual’è la sua personalità e da dove deriva?

La personalità del mammone, per certi versi poco evoluta, fa si che sia alla costante ricerca di approvazione, accettazione e considerazione da parte delle figure da lui ritenute punti di riferimento: la madre in primis e la compagna in seguito, su cui trasferisce tutto il suo mondo interno fatto di bisogni e aspettative elevate. Secondo le teorie della personalità, questa tipologia di uomo si è incagliata agli stadi iniziali dello sviluppo per vari fattori: mancato sostegno e interazione emotiva con i genitori, figure di attaccamento solitamente distanti e giudicanti, amore condizionato e standard elevati. Tutto ciò ha creato uno schema di abbandono che si estrinseca in un gioco masochistico di ricerca di affetto e approvazione da una figura di attaccamento ( solitamente la madre), ambivalente, giudicante e spesso vissuta come abbandonante e in fuga, che il mammone cerca di trattenere con l’abnegazione e la passività, fino alla dipendenza vera e propria. La figura di attaccamento e quindi molto spesso la madre, ha pertanto un ruolo fondamentale nello sviluppo emotivo del bambino: una madre svalutante, ambivalente e non in sintonia con i bisogni del figlio, genererà in quest’ultimo modelli operativi basati sulla svalutazione, sull’abbandono, sulla deprivazione emotiva e sulla dipendenza, riassumibili nella frase “ti prego non andartene, farò quello che tu vuoi, perchè se rimarrò solo non ce la farò”. Questo lega il mammone alla figura di attaccamento, ma come possiamo vedere non ha niente a che vedere con l’amore, mentre in realtà è molto più vicino al concetto di dipendenza.

A tal proposito è importante chiedere per quale motivo le storie precedenti sono finite, quanto tempo è intercorso tra una relazione e l’altra: è necessario sapere per poter comprendere, perchè molto facilmente ci si troverà di fronte ad una serie di legami in cui l’uomo si è rifugiato e che sono terminati, a suo dire, quasi mai per propria responsabilità.

Quali sono i segnali per capire se lui è un mammone?

  • Vuole essere accudito oltremodo
  • Si aspetta un trattamento speciale (sindrome del risarcimento)
  • manipola usando il senso di colpa quando non ci si occupa di lui
  • ha bisogno di istruzioni e di una guida per ogni compito
  • evita le responsabilità, delegando ad altri le decisioni
  • fa costanti paragoni con altre figura di attaccamento ( mamma, ex, etc..)
  • ha difficoltà a creare una vita equilibrata fatta anche di amici, interessi, lavoro etc..

Come si comporta in coppia e che tipo di donna ha accanto?

Molto spesso il mammone viene scelto da donne con relazioni burrascose alle spalle, vittime di uomini e amori “tossici”: proprio lui, per la sua passività, sembra essere la scelta più sicura. Dopo uomini egoisti, cinici e ambigui, il mammone con la sua dolcezza e finta sicurezza, sembra essere l’optimum per una relazione tranquilla. In realtà però ben presto le donne si accorgono che non è così: si aprono allora due scenari: se la partner è co-dipendente, potrà facilmente cadere nella dinamica basata sulla convinzione di poterlo “salvare e guarire”, restando inchiodata in questa relazione che costantemente le richiederà energie per trascinare lui verso la maturità e reggere i confronti con la presenza materna; oppure potrà rendersi conto che sarà impossibile sanare quelle ferite abbandoniche del proprio compagno( fatte di bisogni insoddisfatti, svalutazioni e solitudine) e che sarà inutile adoperarsi per provare che lei, a differenza delle altre e della madre, lo ama davvero.

La donna innamorata del mammone finirà per percepire i propri bisogni amorosi come inadeguati, fuori luogo e la relazione finirà per essere a senso unico, un lavoro a tempo pieno che le assorbirà ogni energia senza restituirle niente in termini di crescita personale, ma solo intaccando di volta in volta la stima di sè.

Se c’è l’intenzione di far durare una relazione, anzitutto è bene che la donna si chieda cosa l’ha spinta all’interno di una relazione di questo tipo, e in secondo luogo cosa la fa restare quando potrebbe andarsene. Già avere la consapevolezza dei meccanismi sottostanti queste due scelte può aprire uno spunto di riflessione che può tradursi in un miglioramento della relazione, partendo da una ripartizione delle responsabilità e destrutturando la sindrome da risarcimento: quel vuoto emotivo-affettivo non potrà mai essere colmato e fare i conti con questo buco nero è già un primo passo per arrestare la rincorsa a superare costantemente se stessa per provare che a differenza delle altre, lei lo ama. La relazione con la partner è una relazione simbiotica basata sul bisogno di lui di essere accudito da una “mamma” e il bisogno di lei di avere un “figlio” da accudire e per certi versi da controllare. Ovviamente questo tipo di rapporto entra simmetricamente in contrasto con quello che il mammone ha con la propria figura di attaccamento originaria: la madre. E’ chiaro che maggiori saranno le ingerenze della madre, maggiore sarà la frustrazione da parte della partner che vedrà limitata non solo la propria sfera di azione ( e quindi di controllo), ma vedrà impoverito ed esautorato il suo ruolo di compagna, finendo per essere anch’essa considerata una figlia e non la nuora.

Cosa possiamo fare per aiutare il partner a prendere consapevolezza?

Anzitutto è chiaro come il controllo e la cura caratterizzino il legame: lei controlla lui accudendolo, ma lui controlla lei attraverso la propria passività: sono pertanto bloccati nelle rispettive posizioni, posizioni che non potrebbero essere accettate in una relazione sana. Quello che spesso ne deriva è quasi una “follia a due” in cui il mammone trova la sua identità nell’essere oggetto di cure, mentre la donna scambia questo con l’intimità e la profondità di un rapporto. Ne consegue quindi che difficilmente, soprattutto se siamo di fronte ad un legame di co-dipendenza, entrambi si renderanno conto di cosa sta accadendo. Qualora invece, ci sia maggiore consapevolezza da parte della donna, è importante sostenere il partner nella ricerca della propria individualità ed autonomia, incentivandolo nelle azioni, nell’acquisizione di competenze e nell’assunzione delle responsabilità anche di fronte ad eventuali insuccessi. I mammoni infatti non sanno regolare le spinte motivazionali e spesso manca un raccordo tra potenziale, motivazioni, azioni e risultati, con la conseguenza di ottenere azioni caotiche, disorganizzate e non finalizzate. Motivazioni e potenziale, infatti, non si combinano, non hanno disciplina nè confini: il tutto traducibile in scarse abilità sociali, poca motivazione e interesse nell’ambito lavorativo e rare amicizie adulte. Sostenerlo in questo lavoro di “riorganizzazione della propria vita”, gli permette di uscire dalla costruzione “io non so farlo-pensaci tu”, permettendogli di sperimentare fallimenti ma anche acquisizioni di abilità che rinforzano la sua autostima.

Cambiare qualcuno non è mai consigliabile, per il semplice fatto che deve essere una scelta della persona e non un “aut- aut” esterno; vero è tuttavia che, se a qualcuno non piace la relazione che si sta vivendo, si può sempre scegliere di restare, provare a cambiare, o andarsene.

La stessa cosa vale anche in questo caso. Se il mammone non ha alcuna volontà ( perchè magari in modo egosintonico non percepisce la disfunzionalità del suo comportamento), non lo si può costringere a cambiare.

Ovviamente questo non prescinde dall’aiuto da parte di uno specialista competente che aiuti la persona ad elaborare i propri schemi e costrutti disfunzionali.

Tuttavia la partner resta comunque libera di scegliere come affrontare la situazione: se restare, cercare di cambiarla dal di dentro o andandosene.

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