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Il mandato di Umberto Cabini è scaduto: il San Domenico cerca un nuovo presidente manager

Creato il 02 luglio 2012 da Cremonademocratica @paolozignani

Marco Viviani, l’autorevole Marco Viviani saluta Umberto Cabini, il cui mandato di presidente del Teatro San Domenico è scaduto l’altro ieri 30 giugno. Ora Crema dovrà trovare un altro presidente manager, dato che non esistente un sovrintendente: impresa non facile, perché bisognerà contemperare qualità del cartellone e bilancio! Ecco il saluto di Marco Viviani, preso dalla sua pagina su Facebook:

 

Da oggi la Fondazione San Domenico è formalmente in cerca di un nuovo presidente per il futuro CdA. Il mandato di Umberto Cabini scadeva ieri. Sono stati sei anni di lavoro estremamente importante, dai risultati eccellenti. Sono stato testimone partecipe di questa evoluzione e vorrei riassumerla brevemente per capire, tutti insieme, quanto gli dobbiamo.
Quando Umberto arriva a teatro, nel settembr…e 2006, il San Domenico è ancora sparpagliato in luoghi differenti: gli uffici in via Matteotti, il teatro in piazza Trento e Trieste, il Folcioni in piazza Aldo Moro (con il saloncino inagibile). I conti del teatro sono buoni, ma si comporta ancora troppo come un ente locale e i fondatori non sono cambiati, quasi, dal 2000. La raccolta pubblicitaria è ferma al 3%.
Nei primi tre anni il lavoro del presidente è mostruoso e irto di ostacoli: c’è da gestire il trasloco definitivo di tutto all’ex convento di San Domenico e nel frattempo arrivare a una convenzione per il passaggio della titolarità della scuola civica musicale Folcioni che accontenti tutte le parti. È Umberto a dire a chiare lettere, rompendo un tabù, che il Comune non poteva continuare ad assumere e licenziare ogni anno gli stessi docenti della scuola (incombeva il Patto di Stabilità…) e che il San Domenico li avrebbe finalmente regolarizzati. Una rivoluzione soprattutto culturale, dal punto di vista dei rapporti di lavoro, che all’inizio non viene vissuta bene: il passaggio al privato spaventa sempre, per ragioni spesso ideologiche, ma comprensibili. Il presidente vince questa battaglia, la convenzione parte, il Folcioni viene integrato al San Domenico sia logisticamente che fisicamente, Umberto mantiene la promessa e regolarizza i docenti. Facendo una cosa che a Crema non si era ancora vista: il privato che insegna al pubblico a regolizzare i suoi dipendenti.
Nel frattempo, arriva il momento del taglio del nastro: il San Domenico è pronto, dopo 14 anni di lavori tutto l’ex convento è uno spazio fruibile. Nello stesso periodo, entrano nuovi soci privati e persino alcuni comuni. La raccolta pubblicitaria rappresenta ormai il 17% dei proventi e nonostante il Comune fornisca una somma identica a quella di molti anni prima lo standard del teatro è aumentato considerevolmente.
Il San Domenico impara a realizzare da sé dei festival al suo interno, alcuni azzeccandoli, altri sbagliandoli (com’è inevitabile), ma arriva a percepire l’esigenza di uscire dalla routine. Si vince anche il match sulla consulenza artistica. Il rapporto tra teatro e scuola di musica si stringe, anche dal punto di vista contenutistico.
Nei successivi tre anni, Umberto raccoglie il frutto del suo lavoro: i report statistici sono superiori alle aspettative. Mentre in provincia almeno tre teatri rischiano di chiudere, il San Domenico aumenta gli spettatori, il numero di eventi, ottimizza il rapporto tra proventi attivi e bilancio (in attivo nella storia della fondazione per 10 anni su 12).
Oggi il San Doomenico è una città nella città, una macchina da più di un milione di euro l’anno, che apre quasi 200 giorni l’anno, propone cento spettacoli, mostre d’arte, concerti al Folcioni, ha 300 iscritti come allievi, propone corsi di recitazione, collabora con le scuole della città.
Molti possibili candidati sono spaventati all’idea di succedere a una presidenza così fortunata. Ma è un concetto sbagliato: proprio perché Umberto è stato così bravo, non c’è ragione di avere paura di non essere “all’altezza”. Perché chiunque arriverà, si troverà una fondazione sana, in piedi, che cammina sulle sue gambe e che potrebbe fermarsi solo se ci si mettesse proprio d’impegno a far male le cose. Il San Domenico non è più lo stesso teatro di sei anni fa.
A mio parere soltanto la politica, quella peggiore, quella lottizzatrice, potrebbe rovinare il nostro teatro, come è accaduto negli anni ’80 in particolare con gli enti lirici, e i vecchi teatri comunali, in tutto il Paese.
Se invece – e io credo che andrà così – Crema saprà dimostrarsi ancora lungimirante come in quegli anni delle decisioni coraggiose – mantendendo uno stile, una linea “laica” sul teatro – trovando una personalità dell’impresa, dalle competenze manageriali, e dei consiglieri autenticamente interessati al solo suo bene, allora il San Domenico è destinato a crescere ancora in barba alla crisi. Perché i cremaschi amano, ricambiati, il San Domenico. E questo sentimento è più forte di tutto il resto.
Grazie Umberto!

:)

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