Mentre Baricco è corso a farsi la sua lobby per un posto da ministro, scomodissimo, ma che importa potrà continuare nel solco di altri inadeguati, incapaci, impotenti o infami, da Milano invece, un altro fedelissimo di Renzi, - il patron di Eataly Oscar Farinetti – esclude di entrare a far parte del nuovo esecutivo. “Non farò il ministro, faccio l’imprenditore, ognuno deve fare il suo mestiere”, ha spiegato aggiungendo che “però gli starò molto vicino, se ha bisogno, per quello che possiamo fare noi e cioè agricoltura e turismo che sono le due cose di nostra competenza”.
Mica scemo il Farinetti, sa bene che la discesa esplicita e diretta in politica porta grana ma anche grane. Meglio è riscuotere crediti, approfittare di protezioni sostanziose, godersi da imprenditore i risultati di quelle “riforme” che vanno nel senso a lui più gradito, quello del perverso equivoco della ragionevole e necessaria collaborazione, dello “stiamo tutti nella stessa barca”, ma come ci stavano nelle galere, su i comandanti e sotto quelli che remano, del ridurre giudiziosamente diritti e garanzie dei lavoratori per incrementare i logici profitti e ricavi dei padroni.
Mica scemo il guru degli acchiappa citrulli del biologico, del Gusto, sempre meno permesso a chi può sempre più raramente far festa con big purghe, quelli degli orti autarchici in terrazza per coltivare aneto e menta piperita, oltraggiosi per chi non può pagare il mutuo. Mica scemo l’autorità incontrastata dei guardoni dei Masterchef, inframmezzati da sconcertanti spot che invitano a fare donazioni a onlus che lottano contro la fame nel mondo – una vera allegoria del contrasto tra opulenza privata e pubblica miseria.
Mica scemo perché il premier debitore di finanziamenti e pubblici appoggi potrà più facilmente onorare le amichevoli cambiali in privato, che si sa che, anche se ormai siamo assuefatto a tutto, potrebbe circolare qualche malevola obiezione sugli interessi personali di un imprenditore ministro. Magari qualcuno di quei guizzi satirici sulla sua qualità di tecnico dell’alimentazione, messo là per mangiare.
No, meglio continuare a far fruttare la sua frutta a km zero, la sua pasta di gran duro, la sua cura meticolosa per la qualità e l’ambiente, da una posizione defilata. Quella nella quale ha fatto mostra anche del suo amore oltre che per il nostro territorio, per il patrimonio culturale. Tanto che dentro all’emporio fiorentino, ma guarda un po’ che coincidenza, propone un percorso didattico museale dall’invitante titolo “Eataly presenta il Rimascimento”, niente popò di meno, come se locali e stranieri avessero bisogno dei pannelli autoportanti tra cicoria e patate, tra bottiglie e scaffali, per conoscere delle bellezze che ha a portata di mano e di occhi fuori di là, varcate le porte girevoli e i tornelli. È probabile che l’itinerario di storia dell’arte per acquirenti distratti non abbia ricevuto contributi. È probabile che sarebbe stato più lodevole e proficuo che il lungimirante imprenditore finanziasse invece un restauro, magari di quelli oscuri che non vengono apposti come logo della griffe. Ma è plausibile che siamo di fronte alla solita insopportabile retorica della “valorizzazione”, eufemismo che sta per sfruttamento, per conferma dell’indole a convertire cultura, bellezza, arte, storia, in “petrolio” e quindi in merce.
E adesso che il sindaco travalica i confini cittadini, Eataly estende la sua dinamica iniziativa a Siena, il cui sindaco, ci fa sapere il Fatto quotidiano, ha annunciato che il complesso monumentale del Santa Maria della Scala, l’antico ospedale, senese, “potrebbe diventare un mega-supermercato della catena controllata per il 60% da Oscar Farinetti e per il restante 40% da alcune cooperative del sistema Coop.
Orbati del Monte gli amministratori hanno fanno finora finta di interrogarsi sulla miglior destinazione da dare al complesso monumentale straordinario: farne il Museo della città, trasferendo la Pinacoteca Nazionale e altre collezioni, o insediandoci il dipartimento di storia dell’arte dell’Università insieme a varie biblioteche, Ma si sa, bisogna essere pragmatici, bisogna essere ragionevoli, così si sta facendo strada un’ipotesi più profittevole, quella di una destinazione commerciale. E dopo qualche contatto con l’inevitabile, implacabile, irrinunciabile Civita, la maggiore concessionaria nazionale del brand culturale, presieduta da Gianni Letta, adesso il vento è cambiato, arrivano nuovi e più attuali mecenati, capaci addirittura, come si vorrebbe fare un po’ ovunque, di trasformare un ospedale, ancorché antico, in supermercato.
E d’altra parte dovevamo sospettarlo Eataly è la crasi di Eat e Italy, mica credevate volesse dire consuma italiano vero? No, vuol dire consuma l’Italia, vecchio o nuova, moderna o antica.