E’ notizia di oggi l’arresto di 11 persone, le quali avevano dato vita ad un’organizzazione criminale che faceva arrivare ragazze dalla Romania, costringendole a prostituirsi sulel strade della capitale. La dinamica è tristemente nota, tanto che ormai non fa più notizia: grazie ad una persona che vanta contatti lavorativi in Italia, le ragazze vengono attirate in una trappola. Esse sono trasportate clandestinamente in Italia, i loro documenti vengono sequestrati dai componenti dell’organizzazione che, con l’uso della violenza sia fisica che psicologica, le vende a coloro i quali le obbligano poi a battere le strade. Questa caso specifico, tuttavia, presenta alcuni lati particolarmente spiacevoli, che hanno attirato la mia attenzione.
Il primo è che questa organizzazione comprendeva anche 3 donne adulte, che sembra avessero un ruolo fondamentale nell’attirare le loro vittime, giovani ragazze appena divenute maggiorenni. A mio avviso, questo è uno dei tanti esempi che rende evidente come sia sbagliato affrontare la questione dell’emencipazione femminile da un punto di vista esclusivamente biologico. Ipostatizzare un’antitesi Maschi contro Femmine, tanto posticcia quanto retrorgada, non permette di cogliere le complicate sfumature che un fenomeno come quello della prostituzione presenta. Ci sono delle condizioni materiali (età, posizione sociale, potere, giusto per citare qualche esempio) che mettono alcune donne in una situazione di supremazia rispetto alle altre, le quali vengono lasciate in balia di pericolose organizzazioni criminali senza che, apparentemente, il loro destino interessi minimamente chi le ha ingannate sotto la promessa di un lavoro dignitoso.
Inoltre, questo caso particolare è emblematico anche sotto un altro punto di vista: pratiche come quelle descritte in precedenza (mal)trattano le donne come oggetti, non come individui. Lo stesso atto di introdurre una persona in un paese straniero e poi venderla ad un altro proprietario ha, in questo senso, un predecessore tutt’altro che illustre, ovvero la tratta degli schiavi tipica del colonialismo. In quel caso non serviva nemmeno la falsa promessa di un lavoro dignitoso ben retribuito, fondamento dell’illusione capitalistica che i paesi del Primo Mondo siano luoghi di abbondanza, dove chiunque può vivere senza problemi al di sopra della soglia di povertà. L’emblema di questa brutalizzazione che è stata operata nei confronti dei corpi, quindi delle anime, di queste ragazze, è il fatto che una di queste fosse stata addirittura marchiata a fuoco dal suo nuovo “padrone”. Sembra che altre ragazze fossero state tatuate, sempre con l’iniziale del loro proprietario. Una ferocia inaudita, che suscita rabbia in chi legge una simile notizia.
Rabbia perchè, se si volesse, si potrebbe porre fine a questo traffico disumano che ogni giorno, ed ogni notte, attraversa il nostro paese. Rendere la prostituzione legale permetterebbe alle libere professioniste del sesso di usufruire di leggi volte a tutelare i loro diritti, consentirebbe loro di esercitare la propria professione in ambienti controllati e sicuri: questi sono diritti che andrebbero garantiti a qualsiasi lavoratore. Ma questo argomento non è mai entrato nel dibattito politico italiano, e sicuramente ne rimarrà al di fuori ancora per molto tempo. E’ una questione delicata, è una tematica scomoda. Molto più facile fare i benpensanti, molto più sicuro parlare con la faccia dispiaciuta delle “povere sfortunate che sono vittima del racket” ogni volta che viene diffusa una notizia come quella di oggi. Si dice che è una vergogna, si auspicano pene più severe per i colpevoli, e si dormono sonni tranquilli. Ma la vera vergogna è che non si faccia nulla per evitare che altre ragazze siano vittima di un traffico senza scrupoli, che si copra l’attualità politica di un tema con un comodo velo di moralismo da parrocchia. In questo modo, in fin dei conti si è complici di chi ha posto quel marchio.
Riccardo Motti
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