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È l’anno 1941, la Francia è occupata dai nazisti.
Il 20 ottobre, un ufficiale tedesco viene assassinato da tre comunisti francesi. Come punizione collettiva, le autorità naziste ordinano che 150 prigionieri francesi vengano uccisi in tre gruppi a distanze di alcune ore. L’ordine viene eseguito due giorni dopo. Tra i vari prigionieri, ci sono 27 comunisti del campo di Chateaubriant. I prigionieri, al momento dell’esecuzione, gridano in coro “Vive la France”.
Tra questi, c’è Guy Môquet, un ragazzo di 17 anni, comunista, uno dei simboli della resistenza francese.
Questo racconta La mer à l’aube del regista tedesco Volker Schlöndorff.
Dopo la proiezione del film al Friedrichstadt-Palast, insieme ad alcuni attori, Volker Schlöndorff spiega al pubblico della Berlinale com’è nata la sua opera: a 17 anni, subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il regista era in Britannia per studiare; in quelle zone erano ancora vive le voci di un’esecuzione di prigionieri francesi per mano dei nazisti; voci che lui preferiva non sentire. Un’intera vita dopo, tre anni fa, continua il regista nel suo racconto, un giornalista gli ha mostrato un libro che spiega accuratamente i fatti di cui aveva sentito parlare.
“A quel punto ho sentito il giovane diciassettene Guy Môquet bussare alla mia porta, perché raccontassi la sua storia”, conclude Volker Schlöndorff.
La mer à l’aube è un film duro e delicato, un film tedesco e francese, coinvolgente, emozionante, un film che riporta in vita una storia da molti dimenticata.
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