Magazine Cultura

"Il mare di spalle" di Antonio Sofia

Creato il 08 febbraio 2012 da Sulromanzo

Il mare di spalleIl mare di spalle di Antonio Sofia è dedicato a Michele Fazio, un sedicenne colpito a morte da un proiettile per errore di un attentato mafioso. Uno degli eventi del nostro paese che si infilano non di rado nelle programmazioni dei tg nazionali e che subito dopo si dimenticano fra i mille nomi e fatti della vita.

Maria si era iscritta al Tecnico per il turismo, mentre Veronica frequentava il Liceo Scientifico. Erano amiche per la pelle, confidenze sul piercing e sui ragazzi, sempre complici, anche di fronte all’inequivocabile. Da un’amicizia nasceva un sofferto rapporto di parti, che si instaurava con persone e timori, con mantelli per celare e sobbalzi. Un soffio di violenza si insinuava fra le pagine, diventando negli animi argomento complesso, amministrato con le reazioni tipiche dell’adolescenza, nella quale ogni vicenda assume i colori più vivaci.

“Cosa era, per la città, la guerra? Facilmente rappresentata da cognomi, posti, servizi del telegiornale: enfasi per le vite e per le morti, un rigurgito verbale obbligatorio, il traffico delle bare, la compravendita delle amicizie, una pizza per i diciottanni di una trentenne, future vittime e prossime carnefici acconciati a festa, i vari hai sentito?, lo conoscevo, meglio che è morto, che schifo; l’acqua alla gola, i testicoli in bocca, lo sporco e la polvere al naso. Nelle strette di mano il mare, le file e le assenze, sulla punta delle dita in silenzio, una danza.”

Maria e Veronica osservavano, assieme a Domenico e Diego, il mondo proprio e quello degli adulti, a volte così lontano, inafferrabile, inconcepibile, stretto nelle categorie, negli obblighi, nelle regole, eppure, nonostante la parvenza di razionalità che gli adolescenti credevano di notare nel mondo altrui, qualcosa irruppe con una violenza inaspettata nelle loro esistenze.

“Claudio non sapeva cosa pensare. Il numero era alto, ma confidava nell’adrenalina della competizione; la grande occasione poteva spingerlo a superare qualsiasi limite. Spalle al muro, attendeva d’essere chiamato.”

Un romanzo piantato nella contemporaneità, nella storia e nel linguaggio giovanile; un romanzo che si lascia leggere come se si ascoltassero i gruppi di ragazzi fuori dalle scuole superiori di ogni città italiana; un romanzo che vive di vita, nella vita morente.

Che cosa è la violenza per te, Antonio?

Questa è la domanda che ha motivato molte delle mie riflessioni, sin dai tempi della mia tesi di laurea sul cinema di Clint Eastwood. Credo che la percezione della violenza sia morale, necessaria alla coscienza che l'uomo ha del suo essere al mondo. Se pensiamo all'atto violento in natura, esso si giustifica proprio per l'assenza di quella coscienza: nessuno direbbe che un predatore è cattivo. La violenza nei comportamenti umani è connotata nelle reti di significato in cui ogni azione umana si colloca: la violenza non si giustifica mai, e questa è la mia lettura etica, ma la si deve interpretare perché è un atto comunicativo. La violenza lega definitivamente gli esseri umani e gli esseri umani con il territorio che vivono. La violenza marca, segna, la violenza non ha ritorno, non consente regressione: è un buco nella testa, che un'azione mirabile può riempire, rimarginare, senza poter però restituire l'ossatura primigenia, pure in assenza di conseguenze fisiologiche avvertibili. Agita o subita la violenza, non possiamo eliminare dal nostro linguaggio il suo sintagma, è una connessione non estirpabile: ma è possibile scegliere di svalutarlo, svuotare il peso degli elementi che lo costituiscono. Una scelta è sempre possibile, per questo nessuna azione violenta è giustificabile.

Il tuo romanzo è dedicato a Michele Fazio, chi era e perché hai pensato che fosse importante ricordarlo?

Michele Fazio è un ragazzo di sedici anni, è stato ucciso durante un agguato di mafia il 12 luglio del 2001 a Bari. Vittima innocente di scelte altrui, Michele è stato privato di qualsiasi libertà proprio nell'età in cui la percezione dei limiti alle nostre determinazioni è minore. Ecco la libertà, su cui è necessario ragionare a lungo e senza facili concessioni al romanticismo. La libertà precede la violenza, è la premessa di qualsiasi atto violento che può sempre non essere agito. E la violenza agita modifica la libertà di chi la compie e di chi la subisce. Non c'è interpretazione della violenza che, a mio parere, possa prescindere da questa premessa. È importante per me ricordare Michele Fazio perché a Bari, così come in qualsiasi contesto in cui il sintagma della violenza è forte nella composizione della frase sociale, deve essere ribadito quanto sia terribile l'omicidio: nega la libertà di chi l'ha subito in senso assoluto e modifica significativamente la libertà di chiunque vi entri in relazione.

Quali differenze osservi fra la tua città di origine e Firenze, dove oggi vivi, in termini di violenza?

Temo che la violenza sia difficilmente riducibile a dato etnografico. Penso che nel tessuto sociale si possa contenerne la presenza. Dipende da quanto sia forte il peso del suo sintagma nella frase sociale, dalla combinazione che esso realizza con gli altri sintagmi e dal numero stesso dei sintagmi presenti. La libertà si nutre e va nutrita collettivamente con cura, con amore, nel tempo. Le opzioni tra cui un uomo ha il potere di scegliere, le risorse, non solo materiali ma anche materiali, che un uomo ha a disposizione, compongono la dimensione storica della libertà e il senso di responsabilità che vi si annida. Si può sempre non scegliere la violenza, ma è più facile farlo se l'anima è felice: questa cosa è talmente semplice... Non c'è spazio adesso, qui, per parlare della felicità. Ma basta già il suono che sa di meraviglia.

Media: Scegli un punteggio12345 Il tuo voto: Nessuno Media: 4 (1 vote)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :