Dalla fine degli anni novanta nel Paese esiste un rapporto più stretto tra il potere politico e il popolo, ma «questa mediazione – sottolinea Hichan – è molto screditata. L’ampiezza del potere monarchico è incompatibile con la nuova dimensione che il cittadino rivendica». E ora qualche preoccupazione il re Mohamed VI (che è in carica dal 1999) in effetti la sta avendo. Negli ultimi giorni, a Tangeri e a Fez, si sono svolte manifestazioni solidali con i popoli tunisino ed egiziano. E su Facebook il Movimento liberale per la democrazia ha convocato delle adunate in tutto il Marocco per il prossimo 20 febbraio.
Dalla Spagna, distante solo 14 km, il governo Zapatero non sembra essere minimamente preoccupato dalla situazione marocchina: l’esecutivo di Rabat ha varato importanti riforme sociali e anche per questo non si arriverà allo scontro. Ma un’analisi più accurata della realtà del Paese nordafricano sembra dirci il contrario.
Il potere esercitato dal re, la massima autorità religiosa del Marocco (in quanto 36esimo discendente di Maometto), non lascia infatti molto spazio alla democrazia: le proteste vengono represse con la forza e Mohamed nomina e revoca senza controllo i ministri di Esteri, Difesa, Giustizia e Affari Religiosi. Il partito dell’opposizione, l’islamico Giustizia e Spiritualità, sebbene tollerato, è stato dichiarato da tempo fuorilegge.
Il regno marocchino, 33 milioni di abitanti, è quindi oppresso da un potere assoluto, aggravato da una povertà e una disoccupazione che si avvicinano pericolosamente ai livelli di Tunisia, Algeria ed Egitto. In attesa della mobilitazione nazionale del 20 febbraio, non si può perciò escludere che l’ “effetto domino” colpisca anche il Marocco e la sua gente.
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