Al debutto del XIX° secolo, gli occidentali sono divorati dall’ambizione colonialista e dall’Oriente in generale e, del Marocco in particolare, non ne sapevano nulla o quasi. Per loro, il Marocco non era che una parte dell’Oriente, senza un proprio carattere, descritto come un impero ostile e rinchiuso in se stesso. Scientifici ed esploratori, ma anche artisti e romanzieri, hanno contribuito ad alzare il velo di mistero dell’Oriente. Questi “orientalisti” si lanciarono anima e corpo in quello che credevano essere uno studio razionale e rigoroso dell’enigmaticità della società marocchina. Ma l’etnocentrismo è tenace e gli europei guardavano lo stile di vita dei marocchini attraverso il prisma dei loro fantasmi. Pur di fare sensazione, gli orientalisti riportano quasi esclusivamente i costumi che loro stessi trovavano più eccentrici e insoliti. E’ grazie all’ispirazione di Victor Hugo, all’epoca 27 enne, che dobbiamo il termine “orientalista”, nato attorno alla sua raccolta di poemi “Gli Orientali” (1829). Da allora, il movimento, nato essenzialmente dalla letteratura e nutrito dalla campagna d’Egitto di Napoleone, ebbe inizio. L’interesse europeo andava di pari passo con i progetti di conquista del XIX° Secolo ed era logico in quel momento per la Francia informarsi sul Marocco, paese su cui aveva puntato i suoi interessi. Per fare questo, invio’ in missione alcuni artisti con lo scopo di portare nuove conoscenze nella metropoli. Queste sensibilità giocarono un ruolo chiave nelle derive dell’orientalismo perchè la finalità del romanticismo era quella di opporre la ragione al sentimento. I lavori sul Marocco si orientarono rapidamente verso l’esaltazione dei sentimenti personali, creando un impasse sulla realtà della società. “Quanto è bello, ho creduto di perdere la testa!” scrisse nella sua corriposndenza Alfred Dehodenq (1822-1882), uno dei primi pittori francesi a visitare il Marocco. Eugène Delacroix, un altra importante figura dell’orientalismo in Marocco, dono’ dei consigli ai suoi concittadini dopo il suo soggiorno in Marocco nel 1832: “Se avete qualche mese da perdere, qualche giorno, venite in Barbaria, voi vedrete il naturale che è sempre fuori dal nostro controllo, sentirete la preziosa e rara influenza del sole che dona a tutte le cose una via penetrante”. Le impressioni quindi donate dai primi orientalisti rilevavano sempre un approccio esaltante e naïf sul Marocco. La corrente orientalista risultava ugualmente senza una rappresentazione figurativa del mondo musulmano, un mondo che gli europei non potevano conoscere diversamente se non con la pittura.I marocchini e i musulmani in genererale, non erano autorizzati dalla religione ha disegnare dei ritratti, o approcciarsi all’arte nella realtà. Tutti i tentativi di dipingere o di scolpire un essere vivente è un offesa alla realizzazione divina, perchè un musulmano non puo’ rivaleggiare con Dio. Questo vuoto artistico alimento’ dunque i fantasmi dell’inconscio. Con il processo di colonizzazione , l’orientalismo inizio’ ad essere usato a scopi politici. Il generale Lyautey mise gli orientalisti al lavoro con l’intento di provocare seduzione per attrarre nuovi coloni francesi. Il suo obiettivo era chiaramente di far loro amare il Marocco, di suscitare la lor curiosità e di dirigerli verso un mondo incantato. Jaques Majorelle (1886-1962), diede al generale molte soddisfazioni dipingendo una Marrakech carica di magia e di favole. Ma per attirare i nuovi coloni, Lyautey comprese bene che doveva mettere le mani sui fantasmi maschili e quindi non si privo’ di incoraggiare le rappresentazioni dei famosi harem orientali. Questo aspetto dell’orientalismo è quello che chocco i marocchini, perchè metteva a nudo un tabù di una società ultraconservatrice. Questi luoghi normalmente inviolabili servirono agli appetiti (non solo politici) degli occidentali. I dipinti più conosciuti sono quelli che cristallizzano i fantasmi intorno agli harem. Eugène Delacroix (1798-1863) e più tardi Henri Matisse (1869-1954), fecero di queste rappresentazioni il soggetto-faro delle loro tele consacrate all’Oriente e al Marocco in particolare. Dipinti che sovente rappresentano donne orientali “denudate” la cui sola funzione è apparentemente di soddisfare le voglie dei loro padroni e signori. Ancor più dei personaggi, sono i luoghi che appassionano e intrigano i pittori orientalisti. Gli harem rappresentano inconsciamente il desiderio maschile universale di possedere numerose donne. Un desiderio proibito, cosa che li rende ancora più affascinanti e in arabo la parola “Harem“ è appunto sinonimo di “proibito” (Haram). Vista la quantità impressionante dei dipinti prodotti su questo tema, gli osservatori musulmani del XIX° secolo si sono legittimamente posti la domanda sull’accesso agli harem da parte degli occidentali. Infatti, pare evidente, conoscendo l’impenetrabilità dei luoghi privati nel Marocco dell’epoca, che molti pittori dipinsero questi luoghi solo con la loro immaginazione. Attardandosi sui dettagli dei dipinti, alcuni elementi suscitano diversi interrogativi. Abdelkrim Belamine, un artista pittore marocchino, rileva che “i corpi delle donne orientali corrispondono stranamente ai criteri di bellezza occidentale dell’epoca”. Per il pittore, il trucco consiste nel riprendere schizzi di nudi realizzati in Europa ed “aggiungere volti di tipo orientale”, il tutto completato con un decoro arabo-musulmano. La tecnica risponde alle attese dei mecenati europei, tutti presi a realizzare molti soldi con pochi mezzi. Per usare un vocabolo moderno, molte di queste tele sono infatti ilprodotto di un montaggio. L’assemblaggio estetico dei corpi dei marocchini con quello delle donne europee non è solo dovuto alla mancanza dei modelli locali ma è anche la proiezione dei fantasmi degli occidentali sulle loro società. Gli orientalisti trasposero quello che credevano essere la realtà della morale sessuale marocchinaa loro modo, immaginando un ideale di donna sottomessa e schiava. E’ la definizione stessa del fantasma. La sociologa Fatima Mernissi, nel suo saggio “L’Harem e l’Occidente”, giudica oltraggioso lo spazio accordato alle donne arabe dagli orientalisti. La scrittrice traccia un parallelo con Sherazade, incarnazione della donna orientale nell’immaginario occidentale. Nel libro “Le Mille e una notte“, Sherazade utilizza la sua intelligenza e la sua arte di cantastorie per salvarsi, e salvare il suo popolo, dalla tirrania del marito sanguinario. Pertanto Fatima Mernissi nota che questo aspetto primordiale del personaggio e volontariamente occultato nelle rappresentazioni dell’Occidente. Lo spirito orientalista non fa altro che veicolare l’immagine carnale della sposa del sultano, sottomessa nel letto del suo crudele sposo. La scrittrice evoca ugualmente un dipinto di Henri Matisse, “L’odalisca con le culotte rosse”: “Il dipinto di Matisse conserva un potere più forte della realtà storica perché, ancora oggi (…) molti degli occidentali pensano che in Oriente, niente è cambiato e che i musulmani non richiedano mai delle riforme o la modernità”. Questi dipinti rivelano una volontà politica di inserire il mondo arabo musulmano in un immagine decadente o perlomeno stagnante, che mette in luce, per contrasto, una società occidentale moderna e sempre in movimento.
Credits: Sami Lakmahri/Fatima Mernissi/Zamane