Il concetto di famiglia ha subito considerevoli trasformazioni negli ultimi decenni. E’ possibile, infatti, individuare numerose costellazioni familiari[1] che si differenziano tra loro in ragione della diversità di composizione, di vincoli, di modelli organizzativi e di modelli educativi. Tale modificazione è da interpretare come il risultato di un lungo processo riconducibile ai tre problemi fondamentali del nostro tempo, che sono il razionalismo, l’individualismo e l’edonismo.[2]
Il matrimonio si configura come il progetto di vita e per la vita condiviso col coniuge. E’ un atto volontario che trasforma l’amore in impegno verso l’altra persona ovvero in donazione del proprio futuro che è atto supremo di libertà[3]. E’ la dimensione dell’impegno di fronte a Dio e allo Stato che rende efficace il legame matrimoniale. Tuttavia molti adulti credono di mantenersi liberi non assumendosi la responsabilità che comporta la scelta coniugale: in realtà sono schiavi della paura di impegnarsi. Già nel momento della formazione della coppia il vincolo si vive come non necessariamente duraturo[4], così le nuove unioni si diventano progetti a tempo determinato e reversibili. Tutto questo porta con sé conseguenze rilevanti, ovvero l’aumento considerevole delle separazioni e dei divorzi, che apparentemente permettono di “sciogliere il contratto”.
Questi profondi cambiamenti hanno portato alla crisi del legame coniugale, tanto che le giovani generazioni scelgono di sposarsi sempre più raramente e di avere sempre meno figli. Inoltre, a fronte della diminuzione dei matrimoni, si assiste al forte incremento delle separazione e dei divorzi.
E’ necessario ricordare che questo processo di crisi del matrimonio prende avvio con la legge n. 151 del 1975, ovvero la riforma del diritto di famiglia. Questa legge, approvata dopo un iter parlamentare durato dieci anni, ha riscritto gran parte del codice civile. La costituzione già nel 1948 affermava che la famiglia si basa sul matrimonio, sull’uguaglianza giuridica dei coniugi e sulla tutela dei figli. Tuttavia questi principi non erano applicati perché a essi veniva sostituito il modello familiare patriarcale, gerarchico e autoritario del fascismo. La riforma del 1975 è volta a realizzare concretamente i principi di parità ed eguaglianza. La parità è affermata nei rapporti fra i coniugi, i quali acquisiscono col matrimonio gli stessi diritti e gli stessi doveri, in quanto entrambi contribuiscono ai bisogni della famiglia “in relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo”. È riformulata la disciplina della potestà sui figli: il suo esercizio viene ora attribuito congiuntamente ad entrambi i genitori. È inoltre sancito l’obbligo di educare e istruire i figli tenendo conto delle loro capacità, aspirazioni e inclinazioni naturali. Inoltre è enunciato un altro principio cardine della legislazione familiare ovvero il supremo interesse morale e materiale del minore. Quindi l’ampia autonomia decisionale data ai coniugi nel concordare l’indirizzo della vita familiare trova il suo limite nella parità, nell’interesse del minore e nella solidarietà familiare.
La scelta del legislatore italiano di recepire un modello di famiglia che, in una cornice di parità, accorda grande valore all’autonomia dei coniugi nella gestione della loro vita familiare, così come la scelta di regolare la conflittualità coniugale attraverso il modello della separazione e del divorzio incolpevoli, rivelano una più generale tendenza alla privatizzazione […] delle relazioni familiari […] a vantaggio della libertà contrattuale e dell’autonomia decisionale dei singoli [5]. Tuttavia la centralità che l’interesse del minore ha assunto nelle legislazioni familiari rappresenta senza dubbio il modo attraverso cui lo Stato può intervenire, con il giudice, a esercitare un controllo sulla vita privata.
In caso di separazioni difficili, in cui i coniugi non riescono a trovare un accordo, il giudice attua il provvedimento che ritiene più idoneo nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Occorre tenere presente che l’evento della disgregazione familiare è accompagnato da molta sofferenza per tutti i suoi membri. Quando vi sono dei figli minorenni, gli aspetti di complessità sono maggiori. I figli devono confrontarsi sia con l’allontanamento di uno dei genitori, sia con le complesse dinamiche psicologiche in cui sono immersi. In un primo momento la loro vita subisce cambiamenti radicali poiché non possono più contare sulla presenza congiunta dei genitori. Perciò l’intervento iniziale del giudice e in seguito il sostegno educativo alla genitorialità dovranno portare i due membri della coppia a ridefinire se stessi, scindendo la fine del ruolo coniugale dal ruolo genitoriale, che continua a esistere e a essere indispensabile per la crescita armonica dei figli.
[1] N. GALLI, Il ruolo dei genitori nel rinnovamento del sistema formativo, in “Pedagogia e Vita”, 1998, n.4, p.39
[2] Secondo W. BREZINKA l’odierna crisi dei valori e dell’educazione è determinata dal razionalismo, l’individualismo e l’edonismo. Cfr. A. ARMANDO, L’educazione in una società disorientata. Contributi alla pratica pedagogica (trad. dal tedesco), Roma, Armando Editore, 1989, p. 9-19
[3] M.L. DE NATALE, M.G. GUALANDI, Diritto-dovere dei genitori all’educazione. La proposta dell’associazione O.E.F.F.E., Milano, Pubblicazioni I.S.U. dell’ Università Cattolica, 2008, p. 42
[4] Ivi, p. 46
[5]P. RONFANI, La regolazione giuridica della famiglia in Italia tra innovazione e tradizione, In C. MARZOTTO, R. TELLESCHI (a cura di), Comporre il conflitto genitoriale. La mediazione familiare: metodo e strumenti, Milano, Edizioni Unicopli, 1999, p. 44