Il matto del Campidoglio

Creato il 29 luglio 2014 da Albertocapece

Anna Lombroso per il Simplicissimus

Ho visto cose che voi umani…..

Ho visto tre autobus procedere a marcia indietro per Via Labicana: non erano stati avvisati dell’inizio grandi lavori. Ho visto americani inferociti far rotolare smisurate valige nere come bare giù per via Merulana: il taxi li aveva scaricati non sapendo che cosa avrebbe incontrato. E d’altra parte, bofonchia Pisa 48, co’ sta pedonalizzazione pe’ fa’ trecento metri je devi de domanda’ 20 euri e quelli dicono che gli italiani so’ tutti ladri. Ho visto un bus 85 incastrato all’ingresso di Via San Giovanni, la cui pavimentazione è stata in questi giorni divelta per la terza o quarta volta, con i passeggeri – bandana improvvisata e canottiera – scesi a dirigere il traffico impazzito. Ho visto due vigili fermi in mezzo alle macchine minacciose come arieti pronti ad attaccare, immoti con le braccia conserte e un’aria di sfida. E tutti aspettavano gli annunciati eventi meteo estremi, che, come di consueto, avrebbero paralizzato una Roma in ginocchio ad ogni acquazzone.

In attesa di convertirsi magnificamente nella più estesa area archeologica all’interno di una metropoli, tutta la zona intorno al Colosseo e giù fino a Viale Manzoni, San Giovanni, la passeggiata trionfale sui Fori imperiali, le strade attigue, sono solo un miserabile cantiere nel quale i lavori fervono un paio di ore al giorno, che le imprese incaricate lavorano a “buffo”, come quelle della nuova metro, sperando in soldi “a babbo morto”, sperando in qualche miracolo di quelli che piacciono al governo e ai suoi bulli: privati folgorati dall’interesse generale, generosi general contractor, impavidi e scanzonati corruttori sui quali fare affidamento.

Mai la città ha presentato un volto così martoriato, offeso, mai romani e non, resi ormai indifferenti dalle avversità (ne scrivevo qualche giorno fa e mi cito: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2014/07/26/indignazione-via-sms/) si sono autosospesi dalla cittadinanza, mai sembravano aver accolto con sollievo un’amministrazione “invisibile”, come quando è tale il disincanto democratico da far preferire un potere che lavora nell’ombra, sbriga burocrazie, spulcia conti, irriconoscibile e non identificabile, mentre ognuno, la gente insomma, può dedicarsi ai suoi affari privati, indisturbata nella sua sfera personale.

E infatti ormai il sindaco è oggetto di leggende metropolitane che lo dipingono come un dittatore matto asserragliato nel suo castello, inviso al partito che lo ha designato, ostile ai suoi stessi collaboratori dei quali non si fida, intento a far rotolare un mappamondo, o forse un Colosseo, mentre la Capitale rotola anch’essa nel disastro e nel ridicolo. Si mormora che cadrà con un bilancio indifendibile, affidato di volta in volta a tecniche, di quelle – un’allegoria governativa ce lo dimostrato – più aduse alla computisteria che alla programmazione, cinte del lauro della teoria ma totalmente inadeguate alla prassi, alle soluzioni, alla responsabilità, al senso del bene comune. Che venga lasciato là, nel suo scomodo scranno dove nessuno ha voglia di andare per non bruciarsi nel rogo irreparabile di una capitale ridotta a bidonville del Terzo Mondo, che si preferisca fargli fare il punching ball, che tanto si tratta di un marziano che ha rivendicato di esserlo, qualcuno estraneo, nel male che di bene non ce n’è proprio.

Ma si vocifera che si rifiuterà di dimettersi, come un piccolo despota da operetta, con la divisa e il medagliere delle sue battaglie, come un tirannello sudamericano chiuso nel suo bunker. Il fatto è che i romani, bonariamente e cinicamente a un tempo, ormai ne parlano con la dolce comprensione che si ha per un malato, nella speranza che mentre lui sta chiuso nel Campidoglio, le cose si risolvano da sole, si riprenda a circolare, i ciclisti spericolati e suicidi si limito a passeggiate in collina, tanto alle buche abbiamo fatto l’abitudine, come ai sanpietrini cinesi, all’inefficienza, alle file interminabili, ai bus coi passeggeri appesi alle porte come al Cairo e come vuole la razionalizzazione di regime.

Faccio presto a parlare, da qualche giorno non sono più romana, punita per non aver fatto pervenire il censimento Istat. In realtà l’ho riempito scrupolosamente malgrado il suo piglio futile e invadente mi turbasse. E l’ho anche trasmesso online. Ma come molti altri italiani sono evaporata: all’anagrafe di Roma, nel falansterio di Via Petroselli mi hanno rassicurata: sapesse a quanti è successo. Ma sa, all’Istat rispondono che pure le macchine sbagliano e pure i computer. E per confortarmi ancora di più, mi hanno confermato che per l’Ama e la Tares ci sono eccome, viva, vegeta, identificata e pagante. Mentre l’Istat e il suo vertice noto per non saper far di conto sulle remunerazioni dei parlamentari, sul numero degli esodati, ma solerte nel far uscire rapporti a orologeria sulla ripresa e sull’occupazione, non paga mai, proprio come altri esperti di indagini, proiezioni, rilevazioni. Che almeno sono privati e non campano sui pettegolezzi e l’invadenza assurti a fotografia dell’Italia. Meglio una istantanea comunque di una radiografia, altrimenti i chirurghi al governo ci toglierebbero tutte le interiora.


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