Il cinquantesimo soldato è morto in Afganistan e sarà certamente una medaglia. La patria è sempre generosa di patacche quanto avara di ragioni e di cuore, paga la sua cattiva coscienza con un nastrino e un pezzo di metallo che sono il salario del’ipocrisia. Anche Antonio D’Amico ha ricevuto una medaglia per il lavoro direttamente assegnata da Napolitano. E’ morto nel 2002 nella fabbrica Fiat di Pomigliano d’Arco, investito da un muletto guidato da un precario senza patentino, senza formazione, con il carrello strapieno di lamiere oltre il consentito. Entrambi vittime del talebano Marchionne che pretendeva e pretende ritmi incredibili, pena la chiusura.
Quella medaglia è l’unica cosa rimasta perché dopo una prima condanna, la Fiat è ricorsa in appello chiedendo l’annullamento del processo, assistita in questo nobile intento dal presidente dell’ordine degli avvocati della Campania. E il gioco è risultato facile: tra un un rinvio e l’altro dopo dieci anni il reato è stato prescritto. Troppa differenza di fuoco tra i talebani liberisti e un operaio.
Ma chi ha concesso a suo tempo la medaglia, ora fa capire che la filosofia Marchionne è quella giusta è che anzi sarebbe ora di finirla con i troppi contenziosi sul lavoro, alcuni dei quali rischiano persino di non finire nel mucchio delle prescrizioni. E naturalmente è ora di finirla con l’articolo 18. Fosse per me la restituirei con alcune indicazioni precise sul luogo dove conservarla perché le onorificenze sono fuse nell’ipocrisia se poi si favoriscono le condizioni che costringono tristemente ad assegnarle.
E per fortuna che si tratta del custode della Costituzione e del suo articolo fondativo : L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. Ma forse quel custode è esagerato, forse è soltanto ‘o guardaporte