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Il memento mori degli eventi

Creato il 25 settembre 2013 da Sdemetz @stedem

Supplemento al dizionario italiano - Bruno Munari

I miei lettori scaramantici leggendo il titolo di questo post sono liberi di fare tutti gli scongiuri del caso.

Ma vorrei tranquillizzarli, il mio non è un minaccioso e oscuro richiamo alla morte, al contrario, è un invito alla vita, piena e intensa.

Che centra questo con l’event management?

Centra eccome perché la vita e gli eventi hanno molto in comune.  Entrambi esistono solo nel presente e nel passato sono memoria. Entrambi sono impalpabili. Lasciano tracce è vero, ma loro, vita ed evento, non li si può toccare.  Entrambi, nel prima e nel dopo non esistono.

Ecco allora che il richiamo al memento mori ci aiuta non solo nella vita, per viverla con un senso, ma anche nel mestiere di event management.

Brevissima storia del memento mori

Vale la pena fare un salto nel passato e scoprire quando è nata questa locuzione e soprattutto perché: tornavano i generali romani vittoriosi dalle battaglie e rischiavano la superbia, boriosi come erano per i successi conseguiti. Un servo allora, il più umile fra gli umili,  era chiamato a ricordare loro memento mori, ricordati che morirai. Ricordati che sei solo un uomo.

Il Cristianesimo ne ha fatto un uso massiccio, ma in genere nei secoli sono nati movimenti e correnti che ricordavano, magari con finalità diverse, che la vita ha un termine.

Il Don Giovanni di Tirso de Molina con il suo “tan largo me lo fiais”  rimbalzava le parole di chi gli ricordava che la sua vita godereccia non sarebbe stata eterna.  “Ehh – rispondeva lui, c’è tempo”! Ma poi all’improvviso il tempo finì. E d’altra parte, la favola della cicala e della formica non ci dice la stessa cosa?

Sincronizza gli orologi!

Che sia per motivi religiosi, etici o altro, la nostra cultura è piena di richiami al fatto che ad un certo punto, la realtà si fa sentire. Il memento mori dell’evento ci dice esattamente questo: che ciò che stiamo organizzando ha una scadenza, dopo di che non c’è possibilità di recupero.

Non è possibile allungarne la vita, né spostarne l’inizio o la fine. Immaginatevi una rassegna di Giochi Olimpici che parte in ritardo perché non si era pronti. Impossibile!

Eppure quando organizziamo eventi, pur sapendo che questa scadenza c’è (e, per di più, rispetto alla nostra vita ne conosciamo addirittura il giorno esatto), quante volte ci troviamo a disperdere energie e tempo, perché tanto, appunto: c’è tempo?

Nella mia esperienza so che molte attività, molti fatti, molte attenzioni non possono che arrivare quando il countdown è ravvicinato. Ciononostante non posso permettermi di non fare nulla in attesa di questa “gong” d’inizio altrimenti sarà impossibile riempire l’evento/la vita di quel senso che avevo progettato. Anzi, sarà un evento sprecato, un fallimento, una vita buttata via.

Per calibrare i tempi, basta porsi alcune domande, come fossero i richiami che il Don Giovanni non ha voluto ascoltare:

  • So dove voglio andare/arrivare?
  • Ho segnato tutto il percorso da qui alla destinazione?
  • Ho segnato bene le scadenze/tappe intermedie?
  • Sono giunto in ritardo a questa tappa?
  • Cosa devo fare per recuperare e come devo reimpostare le priorità?

Queste domande sono una sorta di cartina di tornasole per scoprire se l’orologio organizzativo è sincronizzato con l’orologio dell’evento. A ogni riunione operativa, a ogni punto di arrivo, a ogni imprevisto, bisogna porsi queste domande.

Banali, forse, ma che ahimè troppo spesso vengono eluse, perché strada facendo subentrano altri obiettivi o altri interessi, o nuove pressioni che dispongono un conteggio del tempo rinnovato, che costringono a nuove priorità.  O peggio ancora, sono domande spesso eluse, perché non si trova nemmeno il tempo per porsele! In questi casi, mi immagino navi alla deriva.

Ma il memento mori avvolge non solo il quando, ma anche il come.

Carpe Diem!

Ogni  evento, anche se è di quelli ricorrenti come una tappa di Coppa del Mondo di Sci, ha un’unica chance. Accade una sola volta, perché ogni singola tappa, pur ripetuta negli anni, è diversa da quella precedente.  Come nella nostra vita, ogni festa di compleanno è diversa da quella precedente. Eppure noi siamo sempre noi.

Per un organizzatore di eventi tuttavia non solo l’evento in sé deve essere considerato un’unica chance, ma anche il lavoro che svolge per arrivare a quell’appuntamento. Ogni azione, oltre che avvenire secondo una tabella di marcia, deve anche avere un contenuto. Tutto ciò è davvero cosi simile alla vita. Non vi è mai capitato di chiedervi: “Ma che cavolo sto facendo”? “Cosa voglio fare nella mia vita?”. Le stesse domande vanno poste in ogni  piano di progettazione e in modo coerente  bisogna poi agire.

La vita di un evento, sia chiaro, non è solo l’evento. L’evento è solo la grande festa finale, prima della fine. L’evento, per un organizzatore, inizia nel momento in cui ne partorisce l’idea. Ecco perché, anche fuori dai riflettori, nel backstage e negli scantinati, ogni singola azione deve avere un senso coerente con l’esito finale. Pare ovvio, ma non è così. E sia chiaro, che spesso lo scopo finale di un evento non è nemmeno l’evento in sè, ma l’eredità che lascia. E allora, per non lasciare debiti, rovine e macerie agli eredi, il senso in ogni singola azione è obbligatorio. Il Carpe Diem va inteso in questo senso. Non è un invito all”io me la godo e me ne frego”, ma piuttosto all’azione responsabile in ogni singola tappa del viaggio.

La domanda qui potrebbe essere una sola:

  • Che effetti ha sull’evento/vita questo camino di percorso?

O forse in modo più concreto:

  • Se continuo a lavorare/agire in questo modo, come sarà l’evento che sto organizzando?
  • E cosa lascio ai miei eredi?

Mo’ me lo scrivo

Massimo Troisi, nel bellissimo Non ci resta che piangere, viene richiamato da un frate al memento mori.

Ecco, scrivetevelo pure voi.


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