Questo è l’unico paese al mondo in cui un rappresentante delle istituzioni (attualmente deputato ed ex presidente del Consiglio), fa diffondere dal suo portavoce personale di persona personalmente, Paolino Pa Bonaiuti, un comunicato nel quale ricostruisce a modo suo una intera vicenda processuale che lo vede imputato. Parliamo del caso “Mills”, dell’unico processo che Silvio teme come la peste perché in caso di condanna scatterebbe l’interdizione dai pubblici uffici. Ma Berlusconi, tanto per capire l’aria che tira in Italia e il suo modo di intendere la giustizia, non ricostruisce i fatti del “Mills” per dimostrare di essere innocente, ma solo per riaffermare che il procedimento doveva essere prescritto. Bizzarra la cosa. Da che storia è storia e il mondo è mondo, un presunto innocente consegna memoriali per dimostrare con fatti, cifre, riscontri, testimonianze la sua totale estraneità alle imputazioni. Silvio non fa nulla di tutto questo (ammettendo quindi implicitamente di essere colpevole), limitandosi a dire che non doveva essere processato perché il procedimento andava archiviato. La bravura di Berlusconi e dei suoi è quella di far passare i magistrati per persecutori e lui vittima sacrificale di un potere giudiziario che pretende di sostituirsi alla volontà popolare. Insomma, lui è colpevole ma finisce per essere innocente solo perché non scatta la condanna. Da altre parti, iniziando dalla Germania, sarebbe stato subissato di fischi, pernacchie e sfottò, in Italia invece, grazie alla sua potenza di fuoco mediatica, Silvio è un perseguitato dalle terroristiche, brigatistiche “toghe rosse”, uno stravolgimento dei fatti e della sostanza dei procedimenti giudiziari a suo carico, che grida vendetta al cospetto di dio e degli uomini. Hanno voglia a dire i suoi oppositori che essere prescritto non significa essere innocente, per Silvio ciò che conta è la fedina penale immacolata, come questa resti candida non importa. In questo sabato così assolato e foriero di tepori primaverili, dobbiamo segnalare l’inverno che regna ancora in casa Fiat, dove Marchionne continua a combinarne una al giorno (anche due se è in vena). Dopo la condanna al pagamento di sette milioni di euro da parte della Rai e di Corrado Formigli per un servizio diffamatorio sulle auto della casa torinese, Marchionne ha preso atto della sentenza favorevole al reintegro dei lavoratori nello stabilimento di Melfi, ordinato dal giudice del lavoro, prendendo carta e penna e scrivendo testualmente agli operai: “Accettiamo la sentenza però, siccome non sappiamo cosa cazzo farvi fare, continueremo a pagarvi ma ve ne restate a casa”. Il tutto avveniva mentre nello stabilimento della Magneti Marelli di Bologna, dopo sessant’anni, l’azienda faceva togliere la bacheca del giornale L’Unità. In precedenza l’azienda aveva sfrattato la Fiom (colpevole di non aver sottoscritto l’accordo per i metalmeccanici), dalla sede di rappresentanza sindacale. Che i rapporti tra Marchionne e la Fiom non fossero idilliaci lo sanno tutti ma non vorremmo che il Sergio si fosse incazzato per il lancio delle mignon di grappa nella sua auto per colpa del quale, fermato dalla polizia e sottoposto alla prova dell’alcolimetro, gli hanno ritirato la patente. Sarebbe una vendetta sproporzionata e priva di senso.
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Il memoriale di Silvio sul processo Mills: “Non sono innocente, solo prescritto”. E Marchionne sfratta L’Unità.
Creato il 25 febbraio 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti
Questo è l’unico paese al mondo in cui un rappresentante delle istituzioni (attualmente deputato ed ex presidente del Consiglio), fa diffondere dal suo portavoce personale di persona personalmente, Paolino Pa Bonaiuti, un comunicato nel quale ricostruisce a modo suo una intera vicenda processuale che lo vede imputato. Parliamo del caso “Mills”, dell’unico processo che Silvio teme come la peste perché in caso di condanna scatterebbe l’interdizione dai pubblici uffici. Ma Berlusconi, tanto per capire l’aria che tira in Italia e il suo modo di intendere la giustizia, non ricostruisce i fatti del “Mills” per dimostrare di essere innocente, ma solo per riaffermare che il procedimento doveva essere prescritto. Bizzarra la cosa. Da che storia è storia e il mondo è mondo, un presunto innocente consegna memoriali per dimostrare con fatti, cifre, riscontri, testimonianze la sua totale estraneità alle imputazioni. Silvio non fa nulla di tutto questo (ammettendo quindi implicitamente di essere colpevole), limitandosi a dire che non doveva essere processato perché il procedimento andava archiviato. La bravura di Berlusconi e dei suoi è quella di far passare i magistrati per persecutori e lui vittima sacrificale di un potere giudiziario che pretende di sostituirsi alla volontà popolare. Insomma, lui è colpevole ma finisce per essere innocente solo perché non scatta la condanna. Da altre parti, iniziando dalla Germania, sarebbe stato subissato di fischi, pernacchie e sfottò, in Italia invece, grazie alla sua potenza di fuoco mediatica, Silvio è un perseguitato dalle terroristiche, brigatistiche “toghe rosse”, uno stravolgimento dei fatti e della sostanza dei procedimenti giudiziari a suo carico, che grida vendetta al cospetto di dio e degli uomini. Hanno voglia a dire i suoi oppositori che essere prescritto non significa essere innocente, per Silvio ciò che conta è la fedina penale immacolata, come questa resti candida non importa. In questo sabato così assolato e foriero di tepori primaverili, dobbiamo segnalare l’inverno che regna ancora in casa Fiat, dove Marchionne continua a combinarne una al giorno (anche due se è in vena). Dopo la condanna al pagamento di sette milioni di euro da parte della Rai e di Corrado Formigli per un servizio diffamatorio sulle auto della casa torinese, Marchionne ha preso atto della sentenza favorevole al reintegro dei lavoratori nello stabilimento di Melfi, ordinato dal giudice del lavoro, prendendo carta e penna e scrivendo testualmente agli operai: “Accettiamo la sentenza però, siccome non sappiamo cosa cazzo farvi fare, continueremo a pagarvi ma ve ne restate a casa”. Il tutto avveniva mentre nello stabilimento della Magneti Marelli di Bologna, dopo sessant’anni, l’azienda faceva togliere la bacheca del giornale L’Unità. In precedenza l’azienda aveva sfrattato la Fiom (colpevole di non aver sottoscritto l’accordo per i metalmeccanici), dalla sede di rappresentanza sindacale. Che i rapporti tra Marchionne e la Fiom non fossero idilliaci lo sanno tutti ma non vorremmo che il Sergio si fosse incazzato per il lancio delle mignon di grappa nella sua auto per colpa del quale, fermato dalla polizia e sottoposto alla prova dell’alcolimetro, gli hanno ritirato la patente. Sarebbe una vendetta sproporzionata e priva di senso.
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