Il Mercante di Venezia è una delle più complesse opere del Bardo. Dato che ne determina sicuramente la sua attualità e la voglia di metterla spesso in scena.
La Popular Shakespeare Kompany con la regia di Valerio Binasco e la partecipazione di Silvio Orlando trasporta Il mercante ad un tempo molto più attuale, vicino ai giorni nostri, ma con un sapore un po’ retrò, visibile nei bellissimi costumi anni ’50 di Sandra Cardini.
Abbiamo la combriccola di Bassanio che al bar sfotte il cameriere operoso e si diverte ad ammazzare le giornate, mentre Antonio si lascia prendere dalla noia e Bassanio tenta di mettere in atto i suoi piani di innamorato. Che prevedono il prestito di un ingente somma di denaro, il rischio di essere respinti e la perdita di un amico. Che per fortuna non avverranno, anzi più che fortuna, bisogna ringraziare il Dio, quello cristiano possibilmente, che è quello che tanto distingue l’altro protagonista di questa storia, Shylock, l’ebreo, l’usuraio, lo spergiuro, il convertito. Shylock è il perdente di tutto il dramma – della figlia, dignità, soldi, posizione sociale e religione – e lo è sin dall’inizio. Il suo tentativo di avvicinarsi alla normalità, alla società, prestando i soldi a Bassanio e Antonio, naufraga come le navi di Antonio, perché il suo lavoro di usuraio offende e sporca la cristiana Venezia e la sua civile morale. Shylock è un reietto, lo è sia perché appartiene a un altro popolo/credo sia per via del suo spietato mestiere. Silvio Orlando lo interpreta con testa china e voce da straniero, così smaccatamente differente dall’accento degli altri attori, proprio per segnalare la sua diversità. La sua cattiveria è pari alla pena che provoca: per tutto il tempo lui è “l’ebreo”, non una persona dotata di nome, e alla fine verrà privato anche di quell’unica caratteristica connotativa. Completamente annichilito, lascia la scena in silenzio, con stanchezza, sfinito.
Dell’antisemitismo di questo testo si è discusso a lungo; quello che in questa versione di Binasco risulta evidente, comunque, non è tanto quest’unico razzismo, quanto le plurime forme di razzismo che proliferano nelle società umane. L’odio per gli ebrei si accompagna a quello per i neri (Porzia è terrorizzata all’idea che a sposarla possa essere il re di colore venuto dall’Africa) e per gli omosessuali (qualche battuta ironica buttata tra i ridenti amici). Problemi atavici vivi oggi come nel ’600.
La messinscena, nonostante il tema serio, è allegra, momenti di comicità popolano l’intero spettacolo, soprattutto quelli affidati sia allo strepitoso duo Porzia – Nerissa, le musiche completano spesso l’azione, in modo assolutamente fedele e non intrusivo.
Al teatro Strehler di Milano, fino al 24 novembre.