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Il mercato editoriale lo fa chi (non) legge

Creato il 29 marzo 2014 da Nereia @LibrAngoloAcuto
E quindi, dopo una discussione su Twitter avuta ieri con alcune persone, eccomi qua con un post polemico. Polemico il giusto però. Lungo un po' troppo, invece.Generalmente sono una tranquillona, poche cose mi danno fastidio o mi fanno scattare come una molla, davvero molto poche. - Il littering. Mi manda in bestia, sul serio. Se uno davanti a me, mentre cammina, butta uno scontrino, un pacchetto di sigarette vuoto, mezzo panino o qualunque altro rifiuto per terra vengo assalita da un isterismo senza eguali. Devo trattenermi dall'acciuffare un passante nel senso opposto e scagliarlo contro il maleducato di turno. - Le persone che, sebbene non debbano scendere in tempi brevi dall'autobus, si piantano davanti alle porte anche se l'autobus offre spazio in abbondanza. Una roba che, guardate, mi sale il nervoso anche al solo pensiero. Ogni volta che devo scendere, e il tipo che ho davanti ovviamente no, mi viene da urlargli "Spostati, maledetto rompiglioni!"(con lo stesso tono di Medioman). Qualche volta l'ho anche fatto ma vabbè, nessuno è perfetto.- Chiunque voglia cercare di convincermi che il mercato dei libri lo fanno esclusivamente i lettori. Il terzo punto è quello di cui avrei voglia di disquisire (anche se Medioman offriva diversi spunti di riflessione ma non esageriamo, un argomento interessante per volta).
Il mercato editoriale lo fa chi (non) leggeNon lavoro nel mondo dell'editoria (purtroppo) e non lavoro in una libreria, sono solo una che le librerie le frequenta e che si tiene aggiornata sulle le nuove uscite.
Sono una lettrice e non solo di best sellers, cerco libri misconosciuti e fuori catalogo, sto attenta alle traduzioni, mi interesso di libri non solo come hobby ma anche come "prodotti finiti".
Mi interesso a come venga costruito un libro, alle professioni che si nascondono dietro la nascita di un volume: pagherei per lavorarci in mezzo ai libri. So quindi, più o meno, come funziona il mondo dell'editoria e so che le case editrici sono aziende.
Sebbene l'idea romantica dell'editore campeggi dentro di me (come dentro quasi tutti i lettori), so perfettamente che dietro questa idea ci sono i soldi, i numeri, i conti da far quadrare, gli stipendi da pagare, la concorrenza, i costi della distribuzione, eccetera eccetera.Adesso dirò una cosa che forse mi farà apparire antipatica e presuntosa ma, in fondo, chi se ne frega. Ho scritto che mi arreca disturbi e fastidi chiunque voglia convincermi che il mercato dei libri lo fanno i lettori. È un'affermazione vera ma non completa. Mi danno fastidio anche quelli che lavorano in campo editoriale e che, a una considerazione fatta da un lettore, rispondono: "tu non capisci, i lettori non possono giudicare, non possono parlare di qualità perché solo chi lavora nell'ambito può parlarne, i lettori non sanno cosa c'è dietro, siamo aziende non onlus, anche noi dobbiamo mangiare, il libro in fin dei conti è un prodotto".
Non credo di essere una che non capisce. Sono in grado di giudicare proprio come chi lavora nell'ambito, posso dire che un libro è una sciatteria editoriale perché so riconoscerlo.
Non lavoro certamente per l'industria tessile, eppure so riconoscere una maglietta con un'ottima qualità di tessuto e una maglietta da 4.90 euro di H&M. Vi risulta che lavori per Armani?
Allo stesso modo, perché non posso capire quando un libro è tradotto male, con un'operazione di editing inesistente, senza che lo abbia visto un correttore bozze (animali in via d'estinzione, mi pare di capire), con un copertina fatta in Paint da uno stagista pompiere che aspira a fare l'art director, con una qualità di carta così scadente che l'asciugone che sta in cucina è meglio?! Non posso manco lamentarmi, poi, se questa cosa viene venduta a 19 euro. No, non posso dire la mia perché non so cosa ci sia dietro dato che non lavoro nell'ambito. "I costi sono altissimi". Ma adesso, pe' sta sciatteria editoriale mi vuoi fare credere che hai pagato pure un sacco? E chi hai pagato, di grazia? Il cane che ti ha fatto la copertina con Paint? L'editor in ferie? Il correttore bozze che non c'era? Il traduttore ubriaco? Eddai, su, non fatemi essere antipatica.
Ma ehi, non dimentichiamo i costi di distribuzione. Io lo so che quello che lavora nell'ambito era già pronto a lasciarmi un commento per dirmi "i costi di distribuzione sono altissimi e tu, che non lavori nell'ambito, non lo sai". No no, invece lo so. So che questi ammontano circa al 60% dei costi totali che una casa editrice deve sostenere – correggetemi se sbaglio – e che variano a seconda del tipo di distribuzione alla quale ci si affida. Con questo varia anche la percentuale di guadagno. Ora, non ho idea di quale casa editrice si affidi a Messaggerie e di quale, invece, abbia una propria rete di distribuzione perché non ho trovato l'argomento tanto interessante da spingermi a indagare.
Non ho nemmeno indagato sui costi di produzione del primo o del secondo caso ma sono certa che se Isbn riesce a pubblicare bella roba, curando le proprie pubblicazioni al dettaglio e riesce a essere distribuita anche abbastanza bene vuol dire che è possibile fare bene il proprio lavoro, non puntare solo sulle sciatterie e riuscire a barcamenarsi con i costi di distribuzione.
Ergo o son loro dei geni indiscussi dell'editoria (può darsi) oppure la storiella del mondo editoriale complesso, dell'io che non capisco perché non appartengo al mondo dell'editoria è un poco una stronzata cretinata.Il mercato editoriale lo fa chi (non) leggeDiciamo la verità, invece: qualcuno ci marcia e tende a giustificare il lavoro mediocre con un bel "tu non lavori nell'ambito quindi non capisci". Come se, ad esempio, bisognasse essere art director per capire se una copertina è fatta da mio cugino di sei anni o da un art bravo.
Perché ci vuole una laurea allo IED per capire che questa è una copertina fatta male e questa è una copertina fatta bene. Allo stesso modo ci vorranno anni di esperienza in campo editoriale per capire che non si può scoppiare la ruota di un'auto con le unghie al posto dei chiodi (orrenda traduzione trovata in un libro dove il protagonista cercava di scoppiare le ruote di diverse automobili con alcuni "nail" quindi, per Google Translate, con delle unghie). E ancora più anni ci vorranno per capire che un adolescente può andare in giro con una t-shirt ma non con una maglietta a T (altra traduzione da far venire le crisi epilettiche anche al lettore più esperto).Non lavorerò nell'ambito, ma non sono stupida e che qualcuno mi ci tratti mi fa arrabbiare. Molto.È vero che libri non esattamente di qualità servono per poter stampare i libri di qualità. Siamo d'accordo, se non guadagni con Barbara D'Urso che tira per la maggiore tra i trogloditi, non hai i soldi per pubblicare Murakami, per dirne uno. Non bisogna essere del mestiere per affermare che Boris Vian non vende quanto Sophie Kinsella.
Però, mi dispiace, la colpa dell'enorme quantità di libri non di qualità presenti in libreria non si può attribuire solo ai lettori.
Chi legge almeno un libro al mese (heavy users) rappresenta il 13% della popolazione dei lettori. Più della metà della popolazione legge da uno a tre libri all'anno (best seller e sciatterie in prevalenza).
Data la mole di sciatteria in libreria mi viene da pensare che le case editrici prendano decisioni in base alla seconda tipologia di lettori (i light users) o in base a chi non legge affatto (non users). Se non si piazzassero 48mila libri/prodotti di dubbia qualità sul mercato, su 50mila pubblicazioni annue totali, magari il mercato editoriale andrebbe un po' meglio e i light users avrebbero comunque una discreta quantità di sciatterie tra le quali scegliere.
Qualcuno, magari, comprerebbe anche di più perché si accorgerebbe di un sacco di libri che adesso non hanno lo spazio per essere esposti (anche le stesse sciatterie) con la possibilità di divenire heavy users (speranza di tutti quelli che producono prodotti).
Si potrebbe cominciare, anche, con il non pubblicare 50mila titoli nuovi ogni anno in un Paese di non lettori. I libri nessuno li legge, si piange perché i lettori vogliono solo Barbara ma poi manco la comprano, ci sono troppi scrittori per pochi lettori e blablabla e poi pubblichiamo 50mila libri l'anno? A me, scusate, sembra un controsenso. Se non c'è domanda, inutile abbondare con l'offerta. Se cominciassimo con il non pubblicare qualunque starnuto esca dalla bocca di Arisa? O se dicessimo a Emanuele Filiberto che la scrittura non fa per lui? La butto lì eh, poi io non sono del settore per cui non capisco che mossa geniale di marketing si nasconda dietro al capolavoro indiscusso (che manco Proust) di Emanuele Filiberto. Sono sicura che è andato a ruba. :ironia:
Posso capire la mossa di marketing dietro i vari Scongelato e toh, già pronto della Parodi, ma Emanuele... Mah. Io però, scusate, non sono del settore, non posso capirne nulla. Il mercato editoriale lo fa chi (non) leggeCome faranno Neri Pozza, Elliot, Isbn, Marcos y Marcos a non interessarsi a pubblicare i libri di Gerry Scotti (per dire un personaggio a caso)? Sicuramente nemmeno chi lavora per queste case editrici è del settore, saranno dei passanti. O forse, noi che non siamo del settore, non sappiamo delle scazzottate tra i redattori e gli editori di queste case editrici e quelli di Mondadori o Rizzoli, che poi alla fine sono quelli si aggiudicano i manoscritti di Barbara. Saranno più muscolosi dei dipendenti radical chic della Elliot. Avranno la mossa segreta della consecutio temporum inesistente che riesce a stendere anche i redattori editoriali più coraggiosi. Magari fanno a gara di spelling di parole come supercalifragilistichespiralidoso e da Mondadori sono più preparati. Con questo non voglio dire che sia solo colpa degli editori, sia chiaro. Una fetta di colpa ce l'ha chi se lo compra sul serio il libro di Dario Cassini. Come chi compra solo i libri che vanno di moda adesso: i nuovi Harmony (adult, young adult, paranormal eccetera).
Certo è che però se in libreria su dieci volumi, cinque sono boiate, quattro sono mal curati e uno è un bel libro non posso certo lamentarmi se nemmeno i lettori forti comprano più o cominciano a leggere in inglese. È facile dare la colpa a terzi, è certamente più facile che dare un occhio al proprio catalogo e dire che sì, forse dieci libri fantasy simil porno tutti uguali non costituiscono esattamente delle uscite interessanti. E non ditemi che vendono così tanto da giustificare un intero catalogo costituito da quel genere di libri, perché nemmeno chi li legge (tra i pochi lettori presenti in Italia) compra un libro al giorno a 17 euro.
Agire sulla qualità e non solo sulla quantità potrebbe essere una soluzione non dico da attuare (ché, si sa, chi non è del settore la fa facile, l'editoria è un mondo complesso), ma almeno da prendere in considerazione. Non mi riferisco solo alle case editrici che pubblicano occasionalmente lammèrda (cit.) e spesso roba meritevole (Feltrinelli). Mi riferisco piuttosto a quelle case editrici che prima pubblicavano roba interessante e adesso si sono lasciate andare a uno standard qualitativo che farebbe spaventare chiunque (la Nord ad esempio che prima, insieme a Fanucci, pubblicava roba fantasy che altrimenti non sarebbe mai arrivata in Italia e che adesso... Tra un simil porno angelico e l'altro si ricordano una di Glenn Cooper e l'altra di Philip K. Dick in ristampa. O la Garzanti che... :sviene:). Chissà come farà la Marcos y Marcos a mantenere uno standard elevato senza lammèrda nel proprio catalogo. A Torino lo chiederò ai ragazzi dello stand, vediamo cosa hanno da dire in difesa del loro schifoso catalogo per intellettuali. Ma come si fa, dico io, a non voler pubblicare un libro di Qualunquesiailsuonome Scanu! Davvero non lo so, tocca che rimproveri un po' anche quelli di Astoria. Insomma, un bel libro di Flavia Vento o un Sono da Tiffany con un diamante potrebbero pubblicarlo.
Prima di concludere questo post chilometrico, la domanda è: se davvero il libro è un prodotto, perché non chiedere il parere ai consumatori? Non sempre eh, a volte. Le altre aziende che producono prodotti sono solite ascoltare i propri clienti, indicono anche delle ricerche di mercato. Perché questo chi lavora nell'editoria non è interessato a farlo, rispondendo anzi con quelle frasette di cui sopra? La parola, l'opinione, di chi compra il vostro prodotto non vale proprio niente? Ah già, dimenticavo che i lettori non fanno parte del mondo dell'editoria, loro non capirebbero e, quindi, non ha senso interpellarli. Meglio decidere a priori che il mercato dei libri lo fanno i non lettori, senza starci troppo a pensare.
Avete presente quella frase che dice che ogni volta che qualcuno afferma di non credere nelle fate, una fata nel mondo muore? Ebbene addetti ai lavori: ogni volta che dite che è merito dei lettori se in libreria ci stanno i libri di Emanuele Filiberto, un lettore forte nel mondo muore.
Domenica 30 marzo
Postilla che mi tocca aggiungere perché mi è stato fatto notare più volte. Forse non si capisce bene quale è il mio punto di vista. So che dietro il mondo editoriale si nascondo tristissime realtà di persone sottopagate, sfruttate o addirittura non pagate. So perfettamente di editori che non pagano o sono restii a pagare i traduttori o comunque le altre figure che lavorano per la pubblicazione di un libro. Il mio post non vuole giustificare certe politiche aziendali a dir poco vergognose (sarei sciocca, l'ho provato sulla mia pelle in un ambito ostico come quello editoriale, ossia quello della comunicazione), semplicemente non tratto l'argomento perché il punto focale del mio post è che è più facile lamentarsi della crisi, del non vendere abbastanza, degli altri che non leggono, senza dare un occhio a cosa non si sta facendo per risolvere il problema. A partire, quindi, dal catalogo pieno di cose che si sa non venderanno tanto da giustificarne la pubblicazione (Emanuele, really? Eddai, su), dall'enorme quantità di libri pubblicati annualmente in un paese di non lettori e dall'evidente bassa qualità del prodotto finito proposto a costi veramente imbarazzanti. Non mi riferisco quindi in alcun modo alla precarietà dei traduttori, dei correttori, degli editor e dei creativi (che sento più vicini perché lo ero anche io fino all'anno scorso).

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