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Il Mercoledì degli Scatoloni – stereotipi e cliché letterari

Creato il 02 aprile 2014 da Visionnaire @escrivere

Ed eccoci alla quarta puntata dei nostri consigli agli scrittori tratti dagli Scatoloni in Soffitta.

Oggi parleremo di:

Prontuario Per il Perfetto Scrittore: orrori da evitare

STEREOTIPI E CLICHE’ LETTERARI

Stereotipo: dal greco, immagine rigida.

Ovvero un modo di vedere cose, persone e avvenimenti secondo schemi sempre uguali, attraverso caratteristiche attribuite convenzionalmente e spesso semplicistiche e generalizzate.

Il caminetto acceso a Natale, il vicolo buio e puzzolente, il re saggio e generoso, l’italiano che mangia la pizza, il traffico bloccato quando uno ha fretta…

Fratelli dello streotipo sono il pregiudizio: i neri giocano bene a basket, i russi sono comunisti, le donne sono isteriche, i rocker sono drogati, i francesi non si lavano, i giovani non hanno ideali…

E le frasi fatte: la medicina fa più effetto se è amara, se vuoi fare carriera devi conoscere qualcuno, non ci sono più le mezze stagioni…

 
Mettendo insieme stereotipi culturali, personaggi stereotipati, qualche frase fatta e una buona dose di pigrizia, ecco che nascono i cliché letterari.

Personaggi tutti simili, che fanno cose che ci si aspetta facciano in base alla banale caratterizzazione datagli, seguendo schemi sempre uguali.

Il bellone è ricco. Il cattivo cerca vendetta (di solito sul bellone). L’amico del protagonista fa cose molto sciocche che ostacolano il protagonista. Il saggio anziano istruisce qualcuno e poi sparisce dalla storia. Il mezzo di trasporto ha qualcosa che gli altri mezzi di trasporto non hanno. La mamma è iperprotettiva. Il marito lavora troppo. La babysitter è meglio della mamma ma in realtà è pazza. Il professore insegna agli studenti il vero senso della vita senza nemmeno aprire i libri. Il detective va a controllare proprio nel punto dove c’è un indizio che gli altri non hanno visto.

Continuo?

I cliché sono ovunque, perché sono facili da scrivere.

Non serve ragionare sul perché o il percome il direttore/il poliziotto/il marito violento/il bambino che attacca i barattoli ai gatti è una carogna, lo è perché di solito lo è.

Più una cosa assomiglia a qualcosa di già visto o già sentito, più la classifichiamo con facilità. Più la classifichiamo, più facilmente la riconosciamo.

Ed ecco che non serve spiegare a un lettore perché mai il direttore dell’azienda è una carogna, lo sanno tutti che un direttore lo è nove volte su dieci, posso scrivere anch’io di un direttore carogna senza pormi il problema.

 
Il problema però c’è, ed è che i personaggi e le ambientazioni, se seguono il facile schema “riconosco ciò che conosco”, sono – per l’appunto – prevedibili.

Ci si aspetta che un direttore sia carogna, che la dolce fanciulla sposi il bellone, che il cattivo spieghi il suo piano malvagio poco prima di morire, che l’anziano dica qualcosa di saggio, eccetera. Quindi una trama che segue questi prevedibili cliché è noiosa.

Come evitarli:

1) caratterizzare i personaggi in modo completo, verosimile, realistico.

Così, anche se seguiranno un cliché, almeno lo faranno per dei motivi plausibili.

Il bellone potrà anche essere ricco, ma invece di aver ereditato i milioni dal babbo, perché non farlo inventore della scarpa con il contapassi incorporato? Così facendo la ricchezza rimane, ma si può aggiungere inventiva, spirito di osservazione, furbizia e pochi scrupoli negli affari a un personaggio che altrimenti sarebbe solo un piatto, banale e clichéttoso bellone qualsiasi.

Il cattivo è cattivo, e non ci piove. Deve essere cattivo. Ma è proprio necessario che sia di una bruttezza inguardabile, con deformità, ustioni, cicatrici e simili, o che al contrario sia bello e tenebroso tanto che le donne gli cascano ai piedi anche se è cattivo?

Non può essere un ragioniere, con la pancetta ma ancora tutti i capelli, un bel sorriso ma un neo sul mento, una persona banalissima? Se quel ragioniere banalissimo ha in casa una bomba atomica e vuole farla esplodere in centro, è cattivo lo stesso.

Se descrivo un ragioniere banalissimo a cui da piccolo il nonno di origine giapponese racconta i giorni di Hiroshima e che rimane traumatizzato a vita, che poi da grande va a lavorare sotto un capo americano che lo tratta male, e metto in relazione queste due cose per fagli progettare il piano folle di vendicare i suoi avi e nuclearizzare gli USA… ho lo stesso qualche cliché, ma almeno ho creato una base verosimile su cui poggiarli e si notano meno rispetto, ad esempio, al cattivo psicotico a cui l’eroe ha ucciso per sbaglio la fidanzata.

2) caratterizzare i personaggi in modo del tutto inaspettato e non scontato.

Il bellone ha tendenze suicide e il giorno prima delle nozze sparisce misteriosamente.
Il detective geniale non ne imbrocca una e il caso lo risolve la signora delle pulizie.
La bella protagonista contesa tra due belloni impeccabili molla tutti e due e va a fare la genetista molecolare su una piattaforma spaziale.
L’anziano tutore ha l’alzheimer e insegna al suo pupillo una caterva di cose inutili.

Questi sono esempi messi un po’ per far sorridere, in realtà basta un dettaglio –  un momento nella vita del personaggio che incide sul suo carattere, una decisione che ci si aspetta prenda ma che in realtà non prende, un modo di relazionarsi con gli altri personaggi che non sia scontato – per liberarsi dalle strette maglie del cliché.

Un trucco abbastanza semplice per capire se stiamo cadendo in un cliché letterario (o uno stereotipo) è chiedersi: il pezzo che sto scrivendo l’ho già letto/visto/sentito da qualche parte?

Il mio personaggio sta facendo come un altro che non ricordo ma che mi pareva facesse allo stesso modo?
L’albergo che ho descritto non assomiglia a quello che ho visto in quel film?
Questa storia d’amore non sta proseguendo uguale uguale a quel telefilm strappalacrime che guardava mia zia?

Se vi viene il dubbio, se vi “suona” come già sentito… probabilmente ci siete cascati, è un cliché.

Ecco una lista bella lunga di personaggi stereotipati: http://it.wikipedia.org/wiki/Personaggio_tipo
così da farsi un’idea almeno generica di cosa evitare ad ogni costo.

MARY SUE  (e GARY STU)

A proposito di cliché letterari, l’esempio più eclatante (e più attuale) è senza dubbio l’eroina Mary Sue.

Il personaggio Mary Sue nasce e cresce nel mondo delle fanfiction: negli anni settanta la signora Paula Smith scrive una parodia di Star Trek in cui il luogotenente Mary Sue, quindicenne bellissima, intelligentissima, priva di difetti, bravissima a fare qualsiasi cosa (anche ciò che non le competeva affatto), seduceva uno a uno i personaggi canonici della saga facendoli al contempo apparire scialbi e insignificanti, in confronto a lei.

Con il tempo Mary Sue è diventata tanto famosa che ormai si usa il suo nome per indicare una precisa tipologia di personaggio letterario.

 
Al giorno d’oggi le caratteristiche di una Mary Sue (o di un Gary Stu se il personaggio è maschile) sono:

- Perfezione assoluta. Bellezza, intelligenza, carisma, fascino, soldi, senso dell’umorismo, abilità in qualsiasi disciplina, sport, uso di armi, ambito lavorativo, arte marziale.

Mary Sue e Gary Stu non hanno difetti. O, se li hanno, sono presentati in modo da rendere più affascinante il personaggio, non sono mai davvero aspetti negativi del loro carattere.

- Piattezza cosmica. Non avendo difetti, lati oscuri, microtraumi infantili, paranoie o psicosi, Mary Sue e Gary Stu sono di una noia mortale. La loro caratterizzazione è blanda, approssimativa, superficiale, perché la loro figura è incentrata esclusivamente su pregi e qualità.

Spesso stanno sulle palle, perché sono troppo perfetti. Lo dice anche Wikipedia

:D

- Più degli altri. Magari Mary Sue è una persona normale, non è di una bellezza accecante, non ha la sensualità di una pantera, non è un maestro di karate, non è milionaria. Però è circondata da donne che lo sono ancora meno, per cui Mary Sue risalta come più bella, più sensuale, più brava a karate, più ricca. E, ovviamente, più fortunata.

Mary Sue e Gary Stu non muoiono MAI! Al massimo si feriscono o vengono feriti, ma in poco tempo guariscono e sono più vispi di prima. Se restano cicatrici non sono brutte, sono sexy e misteriose.

- Proiezione dell’autore. I maligni dicono che le Mary Sue e i Gary Stu proliferano perché gli autori li usano come valvola di sfogo personale, attribuendo loro quelle caratteristiche e quelle avventure che non possono permettersi.

Che sia vero o meno, è visibile un amore incondizionato dell’autore per la sua Mary Sue: la coccola, la tratta bene, la mette in risalto in ogni situazione. E, soprattutto, ne ripete in continuazione i pregi. Si intromette costantemente con il proprio giudizio – veicolato dalla voce narrante o dalle opinioni degli altri personaggi – per inculcare nella testa del lettore le caratteristiche positive di Mary Sue.

Riassumendo, visto che senza volerlo mi sono uscite tutte voci che iniziano per P, possiamo dire che Mary Sue e Gary Stu sono una patetica porcheria.

Non hanno caratterizzazione, non hanno la tridimensionalità che dovrebbe avere un personaggio, non risultano verosimili. Sono il cliché letterario degli scrittori frustrati dalla vita vera, brutta e cattiva.

Però vendono come il pane. Perché sono sicura che, leggendo questo post, vi sono venuti in mente un paio di Mary Sue e Gary Stu che hanno sbancato le librerie negli ultimi cinque anni.

La vita è, appunto, brutta e cattiva.

Avete il terrore di aver scritto una Mary Sue o un Gary Stu?

Ho trovato questo divertente test  http://radioreiuky.altervista.org/mary/index.html che, anche se ironico e senza presunzione di perfezione, punta il dito su qualche caratteristica specifica delle Mary Sue. Utile anche solo da spulciare, se non avete voglia di rispondere a tutte le domande.

Nella prossima puntata parleremo di: Tecniche narrative.

Questa piccola guida è opera di:

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    Bee

    Chi sonoSono una più che trentenne emotiva e compulsiva. Mentalmente iperattiva, ma fisicamente vegetante. Fumo come il proverbiale turco. Adoro i cartoni animati, perdo troppo tempo in rete. Parlo da sola (anche in pubblico), faccio i crucipixel a penna. E ogni tanto scrivo, per lo più storie che non hanno un finale.


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