Non scrivere né per te né per gli altri, né per l’oggi né per il domani, né per il guadagno né per la gloria: insegui il tuo piccolo assoluto.
Mario Andrea Rigoni
La lingua è viva, si arricchisce di nuovi termini e nuove accezioni, non sempre di provenienza nostrana, ma quasi sempre necessari a descrivere situazioni nuove rispetto al passato, di fronte alle quali l’inglese sembra di solito più aggiornato. La crisi economica, per esempio, ha portato via certezze, investimenti, aziende, ma soprattutto il buon senso e parte delle accezioni della parola lavoro, sostituite con più calzanti termini anglosassoni: passion, freelance, social.
Il dizionario Treccani, fra le altre definizioni di lavoro, recita: “Occupazione retribuita e considerata come mezzo di sostentamento, e quindi esercizio di un mestiere, di un’arte, di una professione”.
Ebbene, non è rimasto poi granché di questa accezione se si guarda al panorama occupazionale, e tanto per restare in tema di uso della lingua, se si dà un’occhiata al settore della scrittura, si può notare come resti l’esercizio dell’arte, ma svaniscono le possibilità di sussistenza.
Navigando infatti fra le offerte di lavoro online, la professione di giornalista, nelle nuove vesti di writer, blogger, editor, content editor, publisher et similia, risulta quella più inflazionata e sofferente, prossima insomma al decesso per mancanza della parte relativa alla retribuzione.
Il motto sarebbe: “Tutti lo cercano, nessuno lo paga”… lo scrittore ovviamente. Nonostante in effetti i siti web commerciali si mantengano e si distinguano per i contenuti, quelli prodotti dai redattori, questi ultimi sono chiamati a metterci l’arte… di scrivere gratis.
L’annuncio che precede regala un gancio alla linguistica, volendo aprire una parentesi, perché anche il termine collaborazione qui viene rielaborato. Collaborare sta per “Partecipare attivamente insieme con altri a un lavoro per lo più intellettuale, o alla realizzazione di un’impresa, di un’iniziativa, a una produzione, ecc.”, quindi nel nostro caso, lo scrittore scrive e la “rosa” cosa fa?
Ma torniamo alla passione: sempreché qualcuno ancora ne nutra nei confronti dell’Italia, dopo l’ultima manovra finanziaria, dopo il bunga bunga, dopo i voli di stato stornati per eventi sportivi o festini privati, deve fare i conti con la dura realtà: la passione non porta pane. Leggendo l’annuncio che segue, se ne deduce anche che non è richiesta l’arte di scrivere: astenersi dunque se specializzati.
Dulcis in fundo, la laurea. Lasciando da parte la corona d’alloro, quel “riconoscimento ufficiale del compimento di un corso di studi universitario, che in Italia dà diritto al titolo di dottore”, è forse l’unico termine in cui le promesse non sono tradite: insomma, il titolo non è acqua, ma neanche oro, a prescindere da quanto sia costato; fa entrare nei teatri, nei cinema, alle mostre, a spettacoli di varia natura, ammesso che il laureando o laureato abbia di che sostenersi e garantisca continuità e competenza. Il dottore potrà effigiarsi del titolo, potrà divagarsi, e potrà persino regalare la sua competenza!
La stravanganza, si sa, è materia italiana: in un paese in cui le vicende giudiziarie dei parlamentari ricompattano maggioranze sgretolate dinanzi agli investimenti contro la crisi economica, non è poi tanto strano leggere annunci come quello che segue, un po’ come dire: Italiani brava gente, e anche un po’ tronisti, disposti a lavorare free lance (leggasi gratis) e per la notorietà. Grande fratello docet.
Insomma, le parole sono importanti quando hanno un significato, ma se vengono stravolte, perdono identità, valore e soprattutto consistenza. Il termine free lance per esempio è stato completamente stravolto: da “professionista, e in partic. scrittore, giornalista, fotografo, indossatrice, ecc., non legato da contratti esclusivi con società, centri organizzati, case editrici o ditte, che svolge liberamente e in modo indipendente la propria attività professionale”, siamo passati a benefattore, traducendo con “gratis” la parte free che stava per libero. Libero di non guadagnare?
Il cinico Pavese, nel 1940, disse: “In genere è per mestiere disposto a sacrificarsi chi non sa altrimenti dare un senso alla propria vita”, che riferito allo scrittore potrebbe voler dire che scrive gratis per dare un senso al proprio amore per la professione; ma poi nel 1946 Pavese corresse il tiro e riacquistò fiducia: “Aspettare è ancora un’occupazione. È non aspettare niente che è terribile”. Nel 1950, forse stanco di aspettare concluse: “Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”.