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Il mezzo giustifica i fini?

Creato il 20 febbraio 2015 da Alby87

In un mio post di quesi due anni fa criticai il concetto di disubbidienza civile riaffermando il valore morale (seppur specificando che si trattava di un valore non assoluto) delle leggi contro qualsiasi tentativo di trovarvi facili scappatoie dal punto di vista etico.

La critica più comune rivoltami fu quella di essere un hegeliano convinto dell’infallibilità delle leggi.

Poiché i miei ragionamenti sono molto complessi, è possibile che qualcuno non li segua fino in fondo … tuttavia mi sorprende sempre quando il lettore deduce da ciò che scrivo delle conseguenze che sono precisamente opposte a quelle che dovrebbe trarne.

La conseguenza del mio ragionamento è semmai che le leggi possono eccome essere infrante. Semplicemente, non alla leggera, ovvero, tale infrazione deve possedere una giustificazione etica molto forte e dimostrata nel merito.

La definizione di disubbidienza civile che criticavo in quell’articolo era basata su alcune forme specifiche che dovrebbe assumere la protesta per essere disobbedienza civile, caratteristiche che la differenzierebbero dal crimine ordinario: l’assenza di violenza (violenza fisica; ça ca sans dire; tutti gli altri tipi di violenza, verbale, psicologica, legale, economica, umana, sono ammessi), l’intento di comunicare un messaggio etico specifico, l’assunzione di responsabilità di fronte alla legge.

Il mezzo giustifica i fini?

Ne concludiamo che un sindaco supercattolico che decida di non celebrare matrimoni gay è un disobbediente civile, nel momento in cui si assume la responsabilità di ciò che fa di fronte alla legge.

Fastidioso pensare che un termine così delicato possa essere applicato ad atti tanto umanamente violenti e discriminatori, non è vero? Ma ciò che conta non è mica il contenuto della protesta, solo la forma: quella forma è accettabile, giustificabile, si vuol suggerire.

Quella definizione di disubbidienza civile è insomma un tentativo di bypassare completamente la questione dei contenuti della protesta per giustificarsi con la forma, “non violenta”.

Eppure danneggiare la proprietà, ad esempio, è una violenza. È un violazione di un diritto che lo stato riconosce a godere dei frutti del proprio lavoro. Una violazione del genere mette in crisi i principi base della coabitazione, e non solo, può anche causare un danno serio sul piano umano alla vittime: rubare una pagnotta non è un grosso danno, ma demolire un’automobile nuova a un piccolo borghese è un danno economico spesso enorme. Insomma c’è una ragione se lo stato lo proibisce, è abbastanza ovvio… non posso demolire l’automobile di un oppositore politico e giustificarmi dicendo che tanto non gli ho fatto violenza fisica; non è una forma di protesta ammessa dallo stato bruciare la macchina a uno con cui non sono d’accordo, e quello che dicevo nel mio precedente articolo è, banalmente, che c’è una ragione se è così, ed è una ragione valida.

Ciò non toglie che bruciare la macchina di qualcuno potrebbe comunque essere moralmente giustificato in certe circostanze; ovvero essere giustificato in certi casi da ragioni così forti da sovrastare sul suo stesso piano l’inerente razionalità della norma sociale.

Dunque ok, ho bruciato la macchina ad un oppositore politico, ma l’ho fatto con ottime ragioni, ragioni così ottime che praticamente tutti, nei miei panni, concorderebbero che andava fatto, nonostante le leggi contrarie. Io ammetto senz’altro che una possibilità del genere possa esistere. Un tedesco che si avesse nascosto degli ebrei ai nazisti, ad esempio, senz’altro lo giustificheremmo.

Ma non lo giustificheremmo mica sulla base del fatto che “era non violento, adduceva una motivazione etica superiore, subiva le conseguenze legali”. Non subiva affatto le conseguenze legali, tanto per cominciare (altrimenti avrebbe dovuto consegnare gli ebrei in questione e sarebbe stato inutile), e tanto per continuare lo avremmo sicuramente giustificato anche se fosse diventato violento per difenderli. Quanto alla motivazione etica superiore, non ci basta certo la sua “autocertificazione” di etica superiore; ovvero, non ci basta sapere che lui adduce una motivazione etica. Vogliamo sentire qual è questa motivazione etica e valutare se effettivamente è valida, perché si tratta del punto fondamentale.

Insomma la forma della protesta, che viene spesso posta al centro del dibattito come se fosse la questione più importante ad essa collegate, è in realtà del tutto marginale: ciò che conta non è come hai protestato, ma per quale ragione; se hai delle buone ragioni, anche un omicidio lo possiamo giustificare. Certo, ammazzare qualcuno richiede giustificazioni più forti che bruciargli l’auto, ma il punto è che entrambe le cose richiedono una giustificazione attiva, ed entrambe in determinate condizioni sono giustificabili, seppure nella stragrande maggioranza dei casi non lo sono, perché la legge con tutto il suo peso morale le condanna.

I sostenitori della disobbedienza civile suggeriscono esattamente il contrario: non importa il messaggio morale nel suo merito, ma solo il metodo della protesta. Tentano insomma di spostare la discussione da una questione di sostanza (perché ho rubato i topi dal Dipartimento di Farmacologia? Come posso discolparmi del danno sociale ed economico causato e della violazione della legge che ho attuato?) ad una di forma (non ho picchiato nessuno. Al massimo gli ho rovinato la carriera. Che a questo punto era meglio picchiarli).

Se vogliamo riassumere in una massima questa filosofia, essa è l’inversione del motto gesuitico: dunque “il mezzo giustifica i fini”. Ovvero non solo si sostiene che per ogni fine esiste un mezzo tale per cui esso è moralmente giustificato, ma anche che esistono alcuni mezzi (“non-violenti”) in grado di giustificare qualunque fine.

A questa filosofia io oppongo il più tradizionale “il fine giustifica i mezzi”, che va letto come “per ogni danno collaterale causato esiste, o è immaginabile, un fine più alto che lo giustifichi”. Possiamo immaginare facilmente, ad esempio, che ammazzare dieci milioni di persona possa essere giustificato: dovevamo salvarne venti milioni. Che il fine possa sempre, se abbastanza alto, giustificare i mezzi, e non il contrario, è dimostrato dalla logica più banale: per quanto grandi siano i danni che i nostri mezzi provocano, possiamo immaginare un bene più grande cui miriamo che li compensi. Viceversa, se il nostro fine è fare un danno, il fatto che i mezzi usati siano di per sé innocui non lo giustifica. Non solo, mentre ovviamente non esiste un limite teorico a quanto grande e benefico possa essere il nostro fine, esiste un limite inferiore a quanto meschini possano essere i nostri mezzi: non possiamo fare di meno che nulla per perseguire il nostro fine

Dunque la sostanza può giustificare la forma, ma non il contrario.

Perché questo spostamento del target dalla sostanza alla forma?

È semplice: la valutazione dei danni e dei benefici da parte del singolo è fondamentalmente arbitraria. L’idea che il fine possa giustificare i mezzi ci spaventa perché temiamo che qualcuno possa sentirsi giustificato a fare qualsiasi cosa nel nome di un bene più grande, che però sta solo nella sua testa, come nel caso del fanatismo religioso.

Questa paura è perfettamente giustificata, e giustificate sono le contromisure che essa stimola: le leggi. Così decidiamo che alcuni mezzi, come l’omicidio, per la legge non siano mai validi, qualunque sia il fine o con pochissime ben determinate eccezioni, e viceversa che certi altri mezzi, come la parola o la stampa, siano sempre leciti se non con pochissime e ben determinate eccezioni (anche se in Italia le eccezioni sono molteplici e piuttosto indeterminate).
In questo senso ciò che scrivevo nell’altro articolo vale sempre, e cioè la legge ha un’intrinseca razionalità, tale per cui essa ha sempre un qualche peso morale e rari sono i casi in cui il fine possa giustificare l’infrazione della legge. Anche se ovviamente esistono.

Le limitazioni imposte sui mezzi, piuttosto che sui fini, ci permettono di creare un’arena in cui è più semplice per le idee differenti scontrarsi con minimo danno sociale, quindi hanno senso.

Ma il punto è che spesso la gente va oltre, e cioè crede che queste misure pratiche abbiano il valore di norme etiche assolute, ovvero che l’etica sia interamente risolvibile in una questione di mezzi di espressione. Ad esempio, i nazisti vanno benissimo, finché usano solo la parola per affermare il loro pensiero. Attenzione, magari questo punto di vista è corretto nel senso legale, nel senso che magari è opportuno che possano parlare senza finire in galera. Ma ben altra questione è se meritino o meno il nostro biasimo morale, e un nazista è nazista anche se non picchia nessuno e il biasimo lo merita anche se resta fuori dal carcere.

Dunque l’errore è piuttosto nell’individuare categorie fisse di mezzi che giustifichino sempre i fini dal punto di vista morale. Ed è un problema questo, che è interamente dovuto a pigrizia intellettuale.

Vivere nella certezza che possiamo pensare ed esprimere anche le più atroci mostruosità a patto di stare attenti al come ci solleva da molti dilemmi morali. Perché dovrei pormi il problema se i 100% Animalisti o le Sentinelle in Piedi abbiano effettivamente ragione in quello che dicono, quando posso comodamente concludere che siccome i primi gridano e disturbano, mentre i secondi sono tranquilli e silenziosi, allora i primi hanno torto e i secondi ragione?

Inoltre questo sistema di pensiero ci permette di vivere alcune comode illusioni: ad esempio che ogni problema etico possa essere risolto democraticamente, ovvero che lo stato democratico sia un superamento dello stato etico. Ovviamente è falso, lo stato e le sue istituzioni devono sempre esercitare un minimo di forza per disciplinare le relazioni e devono sempre avere dei principi fondanti che ne determinino le possibilità, ergo ogni stato è etico. Ancora, possiamo illuderci che dopo aver distrutto mesi di lavoro di laboratorio, magari a un povero studente universitario che aveva disperato bisogno di laurearsi in tempo e non potrà più, siamo stati non-violenti e dunque le nostre coscienze possono stare tranquille. Possiamo illuderci che le vite rovinate di quei ragazzi gay che si suicidano, o che vengono picchiati, o tormentati per la propria diversità fino all’età adulta e oltre non sono nostra responsabilità, perché in fondo noi facevamo solo manifestazioni pacifiche per dire che sono “aberrazioni umane”, cit. Costanza Miriano.

Se dunque il fatto che la legge stabilisca limiti pratici fissi ai mezzi di espressione è intrinseco e necessario nel suo essere legge, invece che tali limiti fissi vogliano essere imposti nella valutazione morale è semplicemente il modo più comodo per tacitare dilemmi etici e calmare le coscienze. Fai tutte le atrocità che vuoi, ma sempre con un gran bel sorriso e la tua coscienza è a posto, e non devi neanche perdere tempo a giustificarti.

Insomma, si tratta sostanzialmente di pura e semplice vigliaccheria intellettuale. Le opinioni sono indifendibili, quindi invece di difenderle le esprimiamo con grande educazione, così pretendiamo di essere al di sopra dei giudizi etici. Non sentiamo adesso la cricca cattofascista che giustifica le mostruosità che dice affermando che “si avvalgono della libertà di espressione”? Questo li protegge da conseguenze  legali, ma non può proteggerli (o almeno non dovrebbe; purtroppo talora funziona) dal biasimo morale e dalle ritorsioni sociali ad esso collegate.

Pigrizia intellettuale, dicevamo. Ma a volte anche spietato calcolo … la maggior parte della gente è intellettualmente pigra, quindi appellarsi alla sua pigrizia intellettuale è una tecnica comunicativa utilissima.

E effettivamente, se devo convincere un pubblico intellettualmente pigro che gli animalisti sono un pericolo per la ricerca, un’opzione sarà descrivere loro per filo e per segno la situazione, tirando fuori il mio possente armamentario filosofico e scientifico. Avrei tutte le ragioni del mondo, certo, ma con una casalinga di Voghera sarà più semplice e molto più efficace una seconda opzione: spaventarla mostrandole di cosa sono capaci i 100% Animalisti, che effettivamente hanno più o meno il livello di civiltà di un tricheco rabbioso. Dal punto di vista comunicativo, tanto per cambiare, un linguaggio più elementare e che si pieghi alla pigrizia mentale dell’interlocutore può funzionare molto meglio.

Tuttavia … ci sono momenti in cui il punto non è convincere masse intellettualmente pigre con una buona retorica. Ci sono momenti in cui si vuol veramente capire di che si sta parlando.  È quello che si fa su questo blog.

E chi voglia capire di cosa si sta parlando, chi fa il filosofo o a filosofo almeno si atteggia, non può  permettersi di parlare come se stesse parlando alle casalinghe di Voghera. Noi sappiamo benissimo che il punto non è affatto come mandi il tuo messaggio, ma prima di tutto qual è il tuo messaggio. Questa consapevolezza non può mai abbandonarci, anche perché se ci abbandona ci esponiamo a pericolose accuse di incoerenza che un intellettuale serio non può permettersi.

Io, per esempio, ho sempre disprezzato profondamente le manifestazioni “pacifiche” delle Sentinelle in Piedi, molto di più di quanto disprezzi quella “aggressive” degli animalisti. Sempre stato coerente su questo punto; non è una questione di forma ma di messaggio.

Perché l’aggressività del messaggio è la stessa, ma la pacificità della forma nel primo caso è comunicativamente più pericolosa: il lupo travestito da agnello è molto più pericoloso di quello che ti corre incontro ruggendo a denti sguainati. Dunque fra le due quelle che dobbiamo contestare di più e con maggiore astuzia sono le Sentinelle in Piedi.

Non mi è mai capitato di sentire frasi di solidarietà verso i 100% Animalisti da parte dei bravi borghesi, viceversa mi è capitato di sentirli verso le Sentinelle in Piedi: “almeno manifestano pacificamente, se pensi a quello che fanno gli animalisti!”, mi è stato detto una volta.

No, ragazzo mio, non hai capito niente se mi dici una cosa così: devi temere molto di più le Sentinelle e il modo in cui loro comunicano, che gli animalisti. E fra gli animalisti, devi temere di più di tutti quelli che mostrano un volto pacifico al pubblico. Perché? Perché con tutta la loro vaselina ti metteranno il loro cazzo in culo senza che tu neanche te ne accorga. Ma i risultati saranno forse diversi? Bloccare l’attività di ricerca con le spranghe o bloccarla con metodi “pacifici” (va be’ che alcuni includono il furto con scasso fra i metodi “pacifici”…) come boicottaggi o bullismo giudiziario è la stessa cosa, alla fine hai sempre dei malati senza cure che muoiono.

E il punto non è forse quello? Non è forse quella la ragione per cui ci battiamo? Se la perdiamo di vista siamo già stati sconfitti, basterà un oppositore che sappia simulare un approccio “gentile” e razionale, infilandocelo dietro molto delicatamente.

E ci troveremo in men che non si dica riportati indietro di duecento anni.



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