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Il migliore dei mondi possibili

Creato il 20 febbraio 2015 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

È difficile, anche quando si sfiorano solo certi argomenti, riuscire a essere gradevoli: la retorica e i falsi sentimenti sono sempre in agguato; ma, suvvia, ci proverò.

Qualche giorno fa stavo camminando in corso Vinzaglio, a Torino, dove mi trovavo per un esame universitario; è questo un bel viale alberato su cui si affacciano edifici di un’altra epoca con i loro balconi in pietra e ferro battuto e le loro finestre, incorniciate da stucchi e lesene, che a volte ne lasciano intravedere i soffitti. Ecco, mi trovavo lì, era pomeriggio e procedevo nel freddo della città, attutito appena dal riparo dei portici. Con la schiena contro un muro e il sedere a terra stava ad un angolo un signore, aveva la barba lunga e ispida, con una mano teneva un libro e aveva gli occhi su questo puntati.

Arrivai a casa e iniziai a leggere Mendel dei libri di Stefan Zweig, un racconto che narra la storia di Jakob Mendel, bibliofilo quasi bibliomane: passa la vita a leggere libri, a comprarli, a rivenderli. Si alza presto la mattina e dalle 7:30 fino a sera passa il suo tempo al Caffè Gluck di Vienna, da lui eletto a quartier generale. Resta chino tutto il giorno sui volumi talmente assorto da non accorgersi di cosa succede intorno a lui. Un giorno, nel locale, installano proprio sopra la sua testa i nuovi lampadari a luce elettrica, ma lui non si accorge assolutamente di nulla; Francesco Ferdinando viene ucciso a Sarajevo, scoppia la guerra, ma, allo stesso modo, non se ne accorge: è come se vivesse fuori dal mondo.

Mendel dei libri

Così come Jakob, anche quel signore senza casa, sebbene fiumi di gente gli passino accanto non ne fa motivo di distrazione – magari il libro è Cinquanta sfumature di grigio, ma ora non importa – quello che conta è che io, a casa, solo, coricato sul letto e con la testa rialzata dallo spessore di due morbidi cuscini, con la luce delle quattro del pomeriggio che illuminava la mia pagina, ebbene, io, in quelle condizioni che converrete con me essere piuttosto favorevoli, ho invidiato quel signore. E non perché consideri la sua una vita pura, priva di ciò che è superfluo, svincolata dalla società postmoderna, dal “lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo”; certo che no: l’ho invidiato perché mentre io mi rivoltavo, mi toccavo i capelli, mangiavo le unghie, bevevo e andavo in bagno, insomma, mentre io non riuscivo a sintonizzare il mio corpo sulla stessa frequenza del libro, lui, concentratissimo, quel libro lo stava vivendo. Il libro, infatti, ha tanto a che fare col corpo quanto con la mente.

Oggi, 12 febbraio 2015, ritornato dalla città al paese, ho ripreso in mano Tutti i racconti di Beppe Fenoglio, autore straordinario, sul quale diedi un esame lo scorso anno; l’ho ripreso perché ho dimenticato Mendel dei libri a Torino. Ho cercato subito uno dei racconti che più mi erano piaciuti: Nella valle di San Benedetto. Narra la storia di tre giovani partigiani che affrontano in tre modi diversi un rastrellamento tedesco sulle colline delle Langhe. La storia è raccontata in prima persona e, ovviamente, segue soprattutto le vicende del protagonista; questo decide di rifugiarsi in una tomba all’interno della quale si trova a disagio, distendersi sulla terra gli fa ribrezzo, gli pare di respirare “altra sostanza che l’aria”, è irrequieto, ma rimane lì e, dopo aver vinto le sue paure decide “di mettersi a morire”, finalmente si corica e viene colto da incubi e allucinazioni: sente la tomba invasa da vermi, vermi che lo assaltano e lo riempiono, sogna un suo compagno e sogna i tedeschi che lo vengono a scovare. Mentre lo leggevo mi sono sentito con lui e se mi toccavo i capelli questa volta era per togliermi di dosso i vermi; la guerra non c’era, i tedeschi non mi cercavano, ma io non ero al mondo in quel momento, ero nella tomba e avevo paura.

Beppe Fenoglio

Beppe Fenoglio

Ritorniamo a Mendel dei libri e alla mia lettura infruttuosa: la colpa non è del libro di Zweig, è scritto benissimo ed è interessante, ma naturalmente mia. È necessario avere la giusta disposizione nei confronti del libro, fare un patto – io posso darti emozioni, idee, divertimento, spero non noia, ma tu ora leggimi come si deve – , sembra sussurrarci. Mi viene in mente l’inizio di Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino:

Rilassati. Raccogliti. Allontana da te ogni altro pensiero. Lascia che il mondo che ti circonda sfumi nell’indistinto.

Se una notte d'inverno un viaggiatore

Il libro si dà a noi solo se siamo preparati a riceverlo.

Dunque, prepariamoci. Ogni libro è un mondo a cui manca un solo abitante: il lettore.

Paolo Cerutti



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