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Il mimetismo sociale come arte di sopravvivenza

Creato il 01 settembre 2010 da Mcnab75

Il mimetismo sociale come arte di sopravvivenza

Continuiamo un po' il lavoro di “introspezione” per quel che riguarda il fantastico, il weird, la lettura, la scrittura e l'arte in generale. In questa nuova stagione vi ho già proposto qualche discussione del genere e devo ammettere che i vostri commenti sono stati quasi sempre ben più illuminanti dei miei post.

La domanda di oggi è semplice, e qualcuno sembrerà anche stupida: quanto sanno i vostri amici, famigliari e datori di lavoro delle vostre passioni (e velleità) artistiche? Voglio dire: qui sui blog ci si scambia pareri che è una bellezza, ma di certo non vi ci vedo – non tutti – a discutere di quanto siano fighi gli zombie di Brian Keene mentre fate un aperitivo fighino in centro città.

 

La domanda nasce da una sensazione, che poi si ricollega alla grande con tanti altri discorsi fatti recentemente. Tale sensazione è che gli argomenti di conversazione stiano andando verso un'omologazione impressionante. Anzi, diciamo che esiste oramai una netta divisione su due realtà. Quella più diffusa la definirei “popolare”, dove i discorsi spaziano dalle solite banalità sulla crisi economica (quando va bene) al gossip triviale in stile Studio Aperto. Quella più di nicchia invece tende a raggruppare i presunti intellettualoidi di città, che perdono ore a discutere di quanto sia trendy l'ultimo cappellino di D&G o il nuovo video di Lady Gaga. Questa seconda categoria, qui a Milano, è abbastanza diffusa, e deborda nella massa di presunti artisticuli che allesticono orrende mostre moderniste il cui unico scopo e fare public relations (anche se... guai a farglielo notare!). Tizi per cui il prototipo di intellettuale è Vittorio Sgarbi e la scrittrice provocatoria Melissa P.

 

Certo, esistono poi miriadi di altre microrealtà, ma sono così piccole e chiuse in se stesse che costituiscono mondi a parte, un po' come il web. Voglio dire: mi pare ovvio che se si va in ludoteca (esistono ancora?) si finisce a parlare di giochi di ruolo o di Magic, ma lo si fa nel contesto di bunker. Ossia: qui dentro “resistiamo”, ma quando siamo fuori confondiamoci col nemico.

 

Mi pare che uno dei meccanismi di difesa più spontanei per mettersi al riparo dal giudizio altrui sia quindi quello di dire mezze verità. Di scoprirsi solo in parte. Purtroppo viviamo in un paese in cui è più trendy spararsi piste di coca o ubriacarsi fuori dai locali fighini, che non ammettere di leggere Lovecraft, di fare giochi di ruolo (men che meno dal vivo!) o di scrivere.

Quasi tutte le volte che provo a parlare di queste e altre passioni con gente che non ha nulla a che spartire col blog etc etc (ossia con la cosiddetta “gente reale”), raccolgo le seguenti reazioni:

 

  • Frasi di circostanza (“Ah sì? Scrivi? Per chi, per la Mondadori?”)

  • Occhiate di pietà (che sottointendono: “Guarda questo mentecatto... a 34 anni sta ancor a pensare ai licantropi e alle astronavi!”)

  • Palese disprezzo (“Non dovresti buttare il tuo tempo così”)

     

Va già meglio quando la reazione è di distaccata noncuranza.

Il mimetismo sociale come arte di sopravvivenza

Ovvio, non si pretende di coinvolgere tutti in discussioni di cui magari non frega nulla, ma è stupefacente come la sensazione preponderante che si suscita nel prossimo è proprio quella di disistima, di velato disgusto. Forse se andassimo in giro a dire che giriamo filmati porno amatoriali la gente ci prenderebbe più sul serio (alcuni miei colleghi senz'altro sì).

 

Io me ne frego del giudizio della gente che conosco poco, ma va da sé che la soluzione ideale che ho adottato finora è parlare sempre meno dei miei interessi e adattarmi ai discorsi banali che stanno sulla bocca di tutti. L'ultima volta che ho accennato alla mia passione per la scrittura con un ingegnere (più giovane di me) che lavora per la mia stessa azienda, questi mi ha guardato come se gli avessi confessato di tenere dei cadaveri smembrati nel congelatore. Non sapeva che dire, cosa replicare. Subito dopo ha ripreso a parlare di come era stato in gamba a evitare di pagare non so quale tassa sulla compravendita di un monolocale per sua moglie, aggrappandosi a qualche cavillo burocratico. Come se io non avessi mai aperto bocca.

E allora mi son detto basta.

 


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