"A maggio del 1940 ricevetti l’ordine dai miei ufficiali di andare a Campiglia in Val Soana per fare l’istruttore di roccia dei miei alpini. Ebbene dovete sapere che ho avuto molti momenti felici nella mia vita, ma forse quei giorni trascorsi a Campiglia Soana sono stati i più belli che ho vissuto, davvero indimenticabili.Lì, il pane arrivava da Valprato: il nostro mulo andava giù a prenderlo, era un pane fragrante, gustoso, a forma di micche basse... un pane che si scioglieva nella bocca ed era anche abbondante: un chilo a testa.
A Campiglia gli uomini del paese erano davvero pochi: erano a militare o a lavorare. Erano rimasti le donne, il parroco, due guardiaparco e molti bambini. Alla sera ci radunavamo nella piazzetta del monumento e noi con le corde da roccia facevamo giocare i bambini: poi il parroco suonava le campane e via tutti a recitare il rosario. Usciti dalla chiesa tutti in osteria, alla domenica in osteria veniva
«Giuvanin ‘dla fisa»Era già anziano e bisognava che uno di noi andasse giù a Pont per portargli su la fisarmonica.Giuvanin suonava e noi ballavamo. Io non ero un gran ballerino e con gli scarponi chiodati ho levato un’unghia alla maestrina del paese. Potete immaginare come fui mortificato: non ballai più. Il mio compito fu allora quello di procurare pane e formaggio e versare da bere a Giuvanin ‘dla fisa che suonava.Mi accorsi però che qualcosa non andava: gli riempivo il bicchiere e dopo un attimo era vuoto, lo riempivo e lo ritrovavo immediatamente vuoto. Allora lo tenni d’occhio: vidi che Giuvanin ‘dla fisa sotto la giacca teneva una bottiglia con un piccolo imbuto, beveva metà bicchiere e, non visto, l’altra metà la versava nella bottiglia, per farsi la scorta a casa.Quando ero libero dal corso di roccia andavo su al Pian della Azaria: per me quel luogo è sempre stato il più bello del mondo. I prati fioriti, il torrente ricco di trote e i camosci che avevano da poco partorito con i piccoli che scivolavano sulle chiazze di neve dei pendii. Poi c’era la maestrina...Era un luogo bellissimo tanto è vero che quando mi trovavo prigioniero in Germania o nelle montagne dell’Albania o nella steppa russa per consolarmi e per cambiare dalla mia mente il paesaggio pensavo sempre al Pian dell’Azaria.Anche durante la ritirata di Russia nei momenti di maggior sconforto pensavo che lassù, in Val Soana, c’era il pian dell’Azaria che rappresentava per me un luogo della memoria, un vero paradiso terrestre.All’ora avevo 18 anni, ero innamorato, il paesaggio così bello e facevo roccia con i miei amici... ero veramente felice...specialmente quando si andava a San Besso e il grande sasso al quale è addossata la chiesa era la nostra palestra. Il nostro gioco era arrampicarsi sino in cima dove c’è la cappelletta. Ci si accontentava di poco, era il nostro tempo, la nostra giovinezza..."Il racconto finisce qui, ma il ricordo di un Grande Amico rimarrà per sempre nei nostri cuori.Vittorio Vallero