Magazine Opinioni
Fin da ragazzo sognavo di poter fare un lavoro normale ma che non fosse un lavoro e basta, e nemmeno un lavoro prestigioso. Nemmeno ho mai realmente illuso me stesso di poter vedere una passione trasformata in lavoro, nello sport, nella musica, ecc..
Forse quello che cercavo era un lavoro che fosse allo stesso tempo anche una missione!
Affascinato dal lavoro del poliziotto, del magistrato, del militare operativo, del giornalista, e non ultimo, da quello del sindacalista.
Tutti mestieri apparentemente distanti per molti aspetti, probabilmente duri e pericolosi, e certamente "scomodi".
Tutti sì, diversi e distanti, ma con una radice comune, con un unico fil-rouge che li lega insieme: il senso e la voglia di giustizia, di rispetto delle regole per il bene comune, della denuncia di ciò che ne è fuori.
Probabilmente la mia non era una “scrematura” su diverse tipologie di lavoro per scegliere quello più adatto, ma a dominare dentro me stesso era la voglia di essere un attore principale nel far sì che i deboli non subiscano i forti e che i forti lo siano nel modo più corretto possibile.
Pronto a lottare insomma, per difendere!
Nessuno me l’ha mai chiesto, ma io ne avevo voglia e il lavoro era forse solo una scusa, per farlo non c’è bisogno di avere una veste ufficiale, nessuna investitura, e nessun distintivo sono indispensabili per portare avanti questa missione, ognuno nel suo piccolo può fare la sua parte.
Il mondo in cui viviamo è sì cambiato, si è stravolto rispetto a 20-30-40 anni fa’, ma alcuni aspetti della vita sono immutabili, o meglio mutano nella staticità di loro stessi. Si adeguano a tempi ma restano gli stessi.
Il sopruso, la prevaricazione, l’abuso, la violenza, solo per citare qualche esempio, si manifestano sotto forme probabilmente diverse ma ci sono oggi come 30 anni fa'!
All'interno dei luoghi di lavoro, come per strada, come nella scuola, in tutti i contesti dove la società/il mondo vive e si confronta, dove gli uomini nel mondo vivono, crescono, lavorano, spesso lasciando la via del rispetto e della giustizia per battere strade più torbide e spesso più facili e veloci da percorrere.
Per me è sempre stato inconcepibile tacere davanti a ciò, di volta in volta la difesa di un amichetto a scuola, di un collega in ufficio, di una donna anziana in autobus, e avanti così per le dure strade del mondo. Spesso non si tratta nemmeno di una difesa fisica, i metodi subdoli, e metafisici sono peggio di quelli che feriscono il corpo, offendere la dignità, l’io delle persone, oppure renderle schiave moralmente (sul lavoro accade di continuo..) è peggio che dargli un ceffone che, il giorno dopo, non ha nessuna conseguenza più sul corpo.
L’animo dell’uomo, la dignità, i sentimenti, hanno tempi molto più lunghi per rimarginare le ferite, ed a volte questo non accade nel corso di tutta una vita.
Io credo che la difesa degli altri, la voglia di difendere, di esporsi per farlo sia un “dono”, una dote che si riceve alla nascita e se non si riceve non verrà certo in seguito.
Non sto esaltando me stesso e chi come me “pulsa” quotidianamente per difendere gli altri, l’ho detto prima, i mestieri che mi hanno sempre affascinato, e che nella mia quotidianità cerco richiamare col mio comportamento sono tutti “scomodi”! Che tradotto significa: ritorsioni, ripicche, colpi bassi, ecc…
Spesso quello che ho chiamato “dono” per chi l’ha ricevuto diventa un peso, un fardello da portare, perché nonostante non si ricevano quasi mai ringraziamenti o complimenti per aver difeso una qualche “causa comune”, chi ha questa dote - state certi - non si tirerà mai indietro davanti a un problema da affrontare, pena poi rimanere con se stesso a domandarsi se realmente nella vita valga la pena esporsi tanto per una collettività, per così dire, poco ricettiva…
Ma allora è davvero istinto suicida?
nanni
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